L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 09 Ottobre 2017
Il popolo catalano
una grande lezione
La retorica della «ggente», in politica, è sempre stata insopportabile. Per una volta, però, è lecito dire che il popolo, nel caso specifico quello spagnolo, si è dimostrato superiore ai suoi rappresentanti. È bastata una parola, quel «Parlem», parliamoci o parliamone, per superare in intelligenza la logorrea degli opposti estremismi delle ultime settimane, i manganelli della Guardia Civil mandata dal premier Mariano Rajoy, le lacrime sul latte versato del presidente catalano sfasciatutto Puigdemont,
e pure gli imbarazzanti equilibrismi di Ada Colau, la sindachessa di Barcellona che cavalca qualunque opinione, un giorno pro indipendenza e l’altro contro, proprio come cavalcava le proteste antituristi nella sua città per proclamarla aperta al mondo dopo gli attentati dei terroristi islamisti. Proprio come nel caso della Brexit, approvata da una società che stava meglio delle altre e voleva aumentare il proprio vantaggio, anche nella questione catalana spira il vento della follia che prende i benestanti quando s’illudono che a far da soli ci sia da guadagnare. Il tutto in un’economia globale dove gli scontri sono tra giganti, dove Cina, Usa e Ue un giorno siglano trattati commerciali e il giorno dopo si affrontano in guerre daziarie. E in un continente, l’Europa, dove un piccolo Paese chiamato Catalogna, che trae il 60% della propria attività economica dai servizi e dal turismo, una volta indipendente, perderebbe i vantaggi della libera circolazione di uomini e merci garantita dal Trattato di Schengen.
Mentre la Spagna perderebbe una delle regioni più dinamiche e aperte all’impresa e una concentrazione industriale che non a caso fa parte del gruppo dei «Motori per l’Europa» insieme con la Lombardia, il distretto francese Rhone-Alpes e il land tedesco del Baden-Wuttemberg. Le migliaia e migliaia di persone che si sono vestite di bianco e hanno riempito le strade di Barcellona, sfidando la pressione delle opposte propagande, manifestavano la loro preoccupazione di cittadini di Spagna ma anche lo stupore degli altri europei di fronte a una crisi che maturava da tempo, è stata sottovalutata da troppi e sfruttata in modo cinico da speculatori e gruppi di potere ma che non per questo è meno surreale e dannosa per tutti. Non si capisce chi dovrebbe trarre guadagno da uno scontro così anacronistico e nello stesso tempo aspro, così contrario a qualunque forma di razionalità. Si leggono dichiarazioni insensate e convinte che lasciano a bocca aperta. Come quell’imprenditore catalano che allegramente dichiara, a proposito del debito pubblico della malissimo amministrata Catalogna, che sarà Madrid ad accollarselo. E non spiega perché mai il vecchio Stato centrale dovrebbe pagare i debiti del nuovo Stato indipendente. E così via.
Questo piccolo mare di magliette candide ha voluto ricordare una cosa molto semplice: che i politici devono produrre politica, ovvero ragionevolezza, compromesso, accordo. È quello il loro mestiere, anzi: il lavoro per cui sono (a volte lautamente) pagati. Ed è una lezione importante, perché in quasi tutta Europa si assiste da tempo alla costante diserzione della politica. A cominciare dalla Ue, che nella crisi catalana è intervenuta solo quando proprio ormai era impossibile tacere e con poche dichiarazioni di circostanza a favore del Governo Rajoy, senza neppure tentare un contributo più sostanziale e fattivo. Per finire a molte altre grandi questioni del nostro tempo che dai politici vengono alla fine scaricate sui cittadini, sfruttando l’emotività che deriva dai lunghi anni di crisi e di difficoltà. Prima fra tutte, per restare all’Europa, la questione delle migrazioni, che si è deciso fin dal principio di rinunciare a governare preferendo la facile strada dei muri e delle polemiche. Dobbiamo quindi esser grati ai cittadini spagnoli di Catalogna, o ai catalani di Spagna, per questa grande lezione sulla democrazia rappresentativa. Sul suo valore e sui suoi meccanismi. Comunque finisca lo scontro tra Madrid e Barcellona, abbiamo goduto, almeno per un giorno, di un grande vento fresco che ha spazzato certe amnesie e in un colpo solo ci ha ricordato due cose importanti: che cosa voglia dire essere cittadini ed essere europei.
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