Il muro dell’Austria,
il prezzo e le colpe

C’è il rischio che qui muoia l’Europa. Il giudizio non è del Papa o di un leader nazionale che crede ancora nell’integrazione degli Stati del vecchio continente, ma di Arno Kompatscher, presidente della Provincia autonoma di Bolzano ed esponente del Südtiroler Volkspartei, il Partito popolare sudtirolese. È stato espresso a proposito della notizia dell’avvio dei lavori da parte dell’Austria per erigere una barriera anti migranti di 250 metri (fra strada statale, ferrovia e autostrada) al Brennero, uno dei luoghi simbolo dell’unificazione europea e di 70 anni di pace tra gli ex nemici austriaci e italiani.

La barriera copre una minima parte dei 430 chilometri di confine che separa i due Paesi, ma ha un valore anche mediatico per il messaggio al quale rinvia. Eretto in previsione di un afflusso nei prossimi mesi di 300 mila migranti in prevalenza africani diretti nel nord Europa attraverso il Brennero, il muro scaricherà ancora una volta sull’Italia l’onere di dare risposta a un fenomeno che non ha più i caratteri dell’emergenza ma è ormai strutturale. Del resto l’Austria, che nel 2015 ha visto transitare sul proprio territorio un milione di immigrati e ne ha accolti 90 mila, è in campagna elettorale. Il 24 aprile infatti si terranno le presidenziali e i sondaggi danno ai minimi storici i partiti (socialisti e popolari) che sostengono il governo, a vantaggio delle destre. Così Vienna ha dato il via libera alle ruspe, un mezzo in voga in questi tempi.

Il Brennero però non è un confine qualsiasi. Non solo per ciò che rappresenta nella storia europea. È infatti una delle principali arterie dell’economia continentale: vi transitano infatti ogni anno 42 milioni di tonnellate di merci e due milioni di tir. La barriera non ne impedirà il passaggio ma lo rallenterà considerevolmente: un danno in un’epoca che ha fatto della velocità delle risposte uno dei fattori decisivi per tenere il passo con le domande del mercato.

Non è un caso che a lanciare l’allarme per l’edificazione della barriera in questo caso non sia stata solo la Chiesa (austriaca) e le organizzazioni umanitarie, ma anche fra gli altri la Coldiretti dal Vinitaly di Verona: la decisione del governo di Vienna infatti rischia di ostacolare le spedizioni, già rallentate in questi mesi su molte rotte per via dell’intensificarsi dei controlli anti migranti sui tir. Per le imprese italiane del settore c’è in gioco un miliardo di euro in export in Germania (5,5 milioni di ettolitri nel 2015) e nel nord Europa. La vicenda della barriera del Brennero, nel cuore del continente, svela un’ipocrisia della politica dell’Ue. I confini interni sono ormai un retaggio della storia sul fronte dell’economia mentre l’Unione non è riuscita a dotarsi di un linguaggio e di prassi comuni su temi altrettanto decisivi come l’immigrazione, la sicurezza (vedi l’incapacità di condividere informazioni utili a contrastare il terrorismo di matrice islamica, come emerso dopo gli attentati a Parigi e Bruxelles) e in generale la politica estera. Pensare di affrontare sfide di dimensioni e di matrice globali con politiche nazionali è un’illusione che ci sta costando cara. Letteralmente. A maggio ad esempio scadrà il periodo di sospensione di Schengen che ha permesso a Norvegia, Svezia, Germania, Austria, Danimarca e Francia di ripristinare i controlli alle frontiere ma che ha generato anche un danno economico (al turismo, al trasporto su ferro e gomma e al pendolarismo transfrontaliero) tra i 15 e 28 miliardi d’euro l’anno, secondo stime del Parlamento europeo.

Bruxelles ora fa la voce grossa con Vienna per la violazione delle norme comunitarie ma proprio le barriere anti migranti in Macedonia e in Austria ribadiscono il deficit di una risposta comunitaria al problema, scaricato cinicamente sugli Stati di prima accoglienza (Grecia e Italia). È la denuncia dell’incapacità di prendere atto di un’evidenza: non viviamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca - questa volta a parlare è un leader che invece ha una visione ampia del mondo, Papa Francesco - che richiede risposte adeguate e non la sola difesa del cortile di casa. L’Europa così resta in balìa di dinamiche e di protagonisti esterni, incapace di dettare la linea e relegata a subirla. Ne è un esempio l’accordo con la Turchia del marzo scorso, con l’Ue che ha giocato di rimessa accogliendo le onerose richieste di Ankara, fra l’altro sborsando 6 miliardi di euro per tenere lontano dai propri confini richiedenti asilo che scappano da guerre dove abbiamo giocato un ruolo nell’accenderne la miccia (Iraq e Afghanistan). L’inanità su temi sensibili delle leadership che governa il continente, non aiuta a ricostruire quel senso di appartenenza a una patria comune che era alla radice del progetto europeo. C’è di che preoccuparsi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA