Il monsignore
e i populismi

Monsignor Galantino, nel ricordare il ruolo storico di De Gasperi morto nel ’54, ha affrontato alcuni problemi delicati che, per l’autorevolezza della fonte, vanno discussi in parallelo fra ieri e oggi. Ne prendiamo un paio di quelli illustrati dal segretario generale della Cei, stando al testo pubblicato dal «Corriere»: difesa del Parlamento, laicità, denuncia del populismo e necessità di un governare secondo giustizia.

Stupisce che tocchi a un uomo di Chiesa difendere le prerogative parlamentari, un tema nevralgico del costituzionalismo ma poco difeso dagli interessati. Se ne parla un po’ fra addetti ai lavori per via dei tecnicismi indigeribili e in vista della discussa riforma del Senato e della nuova legge elettorale, ma da anni non c’è un dibattito approfondito su ciò che spetta al legislativo (Parlamento) e all’esecutivo (governo). A Costituzione invariata, che ha disegnato una Repubblica di partiti per partiti che non ci sono più, riscontriamo i continui sconfinamenti normativi del governo con l’abuso dei decreti legge e dei decreti omnibus e con la complicità dello stesso Parlamento: Renzi continua a fare quel che han fatto i suoi predecessori, e il suo esecutivo ha stabilito il non invidiabile record di 44 voti di fiducia in un anno e mezzo, procurando una lesione alla dialettica parlamentare.

Su questi temi era già intervenuto Mattarella, nel discorso di insediamento al Quirinale, e ora il richiamo del monsignore: il Parlamento è il cavalier servente del governo? Temiamo che non ci sia molto da fare, perché la tendenza dominante dei sistemi istituzionali occidentali va nella direzione di privilegiare la democrazia che decide rispetto a quella che dibatte, cioè del governo del premier, anche se in Italia questa definizione è politicamente scorretta. Il sottinteso di questa prospettiva è piuttosto spiccio: bando alle ciance di quei perditempo che siedono in Parlamento. E il non detto è che l’uomo solo al comando è un’idea impresentabile in pubblico ma che non dispiace in privato. Il rilievo di monsignor Galantino ha il pregio di di porre un quesito critico a un pensiero unico.

Sulla laicità il segretario Cei non si è dilungato, ma l’esperienza del cattolico liberale De Gasperi resta un parametro per il cattolicesimo politico. In quel contesto storico la laicità dello statista democristiano stava in quello che oggi chiamiamo bipolarismo mite: ricostruire il Paese devastato dalla guerra, riunificare Nord e Sud, non approfondire la frattura fa anticomunisti e comunisti dopo la vittoria del ’48, innestare un riformismo sociale e politico per superare il conservatorismo dei ceti dominanti e per affermare il ruolo centrale e centrista della Dc. La laicità dello statista trentino è stata tradotta in termini politici attraverso la riforma agraria, che ha rotto il monopolio di censo degli ambienti conservatori, l’alleanza con i partiti laici ancorchè non necessaria sul piano dei numeri e, nel ’52, l’opposizione all’«operazione Sturzo», cioè all’alleanza delle destre per le comunali a Roma.

Due di queste decisioni costarono sofferenza al credente De Gasperi per via dell’opposizione di settori della gerarchia vaticana, ma hanno dato la prospettiva storica alla Dc, riconosciuta dagli stessi oppositori interni: l’irriducibile avversione a qualsiasi scivolamento a destra. Quanto ai populismi, «un crimine di lesa maestà di pochi capi spregiudicati nei confronti di un popolo che freme e che chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia», quello del monsignore è un giudizio che per severità ha pochi precedenti e che non sorprende detto dal segretario Cei. Ci pare in ogni caso che distingua il marketing degli imprenditori della paura che va per la maggiore dallo spaesamento di un elettorato allo sbando, in gran parte ceti popolari, scarsamente rappresentato dalla sinistra e dai pochi partiti democristiani, e che ancor prima di rivendicare diritti negati chiede soccorso.

Qui si innesta quel che Galantino definisce un governare secondo giustizia, perché l’espansione dei populismi è direttamente proporzionale ai deficit di un’Europa matrigna e punitiva, lontana dalla pedagogia dei padri fondatori come De Gasperi, una stagione che si è chiusa con Kohl. Siamo tutti riformisti e liberali della domenica, ma la modernizzazione per essere sostenibile non può azzerare la stagione dei diritti sociali nati con l’alleanza del dopoguerra fra capitale e lavoro e che ha costruito l’uomo europeo di oggi: la giustizia reclama le ragioni dell’equità ancor prima di quelle della competitività. In questa cornice non vediamo a bordo campo qualche nipotino di De Gasperi, e mentre osserviamo la signora Merkel rimpiangiamo Kohl.

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