Il male dell’Isis
va tagliato alle radici

Domani, 29 giugno, è il primo anniversario della proclamazione del Califfato; e sono bastati questi dodici mesi, contrassegnati da battaglie cruente, comportamenti disumani, attentati di ogni specie da parte dell’Isis per cambiare il mondo. Dopo il quadruplice attacco di venerdì in tre continenti (oltre a quello, che poteva essere micidiale, sventato a Londra) anche chi tendeva a sottovalutarlo deve essersi convinto che lo jihadismo è diventato il nemico numero 1 della nostra civiltà.

Il pericolo non è che i miliziani di Al Baghdadi riescano davvero a issare la loro bandiera nera sulla cupola di San Pietro o a ricostituire l’impero arabo del Medioevo, ma che grazie alla grande maestria acquisita nell’uso della rete e alla predicazione degli imam estremisti che abbiamo lasciato imprudentemente entrare nei nostri Paesi reclutino abbastanza seguaci in Medio Oriente, nel Magreb, in Europa, negli Stati Uniti e perfino in Australia per rendere la nostra vita un incubo.

L’attentato di ieri in Francia, compiuto da un individuo che pure era già stato tra i 400 mila (!) «controllati» è la dimostrazione definitiva di come l’Isis abbia già penetrato in profondità le comunità musulmane in Europa, e come sia perciò diventato difficile difendersi. È improbabile che Yasin Salhi sia entrato in azione su un preciso ordine di Raqqa, eppure, prima di cercare di far saltare in aria una fabbrica, ha tagliato la testa al suo datore di lavoro come ha visto fare nei filmati degli jihadisti. L’uomo ha semplicemente obbedito all’invito di Al Adnani, il portavoce del Califfato, di celebrare il Ramadan con l’uccisione del maggior numero possibile di «infedeli».

Se teniamo conto che prima dell’attacco di ieri ci sono stati, nel giro di pochi mesi, Tolosa, Charlie Hebdo, il supermercato kosher e altri sventati dai servizi, non possiamo che concluderne che altri ne arriveranno, e non solo in Francia, ma nell’Europa intera. Il governo italiano assicura che, per ora, non ci sono allarmi particolari, ma ammette anche che non ci sono certezze. Ufficialmente, gli «obbiettivi sensibili» - ambasciate, caserme, aeroporti, stazioni, fabbriche, Expo eccetera - sono 13 mila e già la loro sorveglianza è impossibile. In realtà, sono milioni , perché per i fanatici dell’Isis qualsiasi bersaglio è buono, dal militare al semplice cittadino, donne e bambini compresi.

Sebbene non ci sia alcuna prova di un coordinamento tra i due eventi (l’Isis ha rivendicato solo la strage di Sousse, e anche con un po’ di ritardo), il contemporaneo attacco a una spiaggia tunisina rientra perfettamente in questa strategia: il terrorista ha massacrato quanti più turisti possibile con il duplice intento di danneggiare la Tunisia, il Paese arabo più refrattario allo jihadismo, e di punire i crociati che usavano la «umma», la terra dell’Islam che il Califfato vuole unificare, per il loro divertimento. Anche qui, abbiamo a che fare con un cittadino senza storia, neppure con uno dei tanti reduci dalla Mesopotamia già indottrinati a usare il kalashnikov.

Per proteggerci, dovremmo tagliare il male alle radici, eliminando il Califfato e la sua capacità di attrazione, ma in Occidente nessuno vuole assumersene l’onere e le forze locali sul terreno, curdi, sciiti, iraniani, non sembrano all’altezza, almeno finché non si muoverà l’Egitto. I bombardamenti servono, ma non sono risolutivi. In attesa di una strategia migliore, facciamo allora almeno opera di contenimento, dando più mezzi ai servizi, vagliando gli immigrati, lavorando meglio sulla rete dove oggi gli jihadisti operano quasi impunemente.

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