Il lavoro a rilento
e la sfida industriale

Da qualsiasi lato si osservi, il mercato del lavoro, pur stabilizzato dopo i crolli degli anni scorsi, non mostra grandi guizzi di positività. Il bilancio della crisi resta pesante. Uno degli ultimi rapporti Inps ha confermato che la base del lavoro dipendente nella nostra provincia si è assottigliato, lasciando sul campo, dal 2010 al 2015, quasi 11 mila posti. La congiuntura del terzo trimestre ha evidenziato a sua volta un nuovo saldo negativo tra ingressi di nuovi addetti nell’industria manifatturiera e uscite.

È assodato, inoltre, che il Jobs act e gli incentivi hanno dato sì una fiammata alle assunzioni a tempo indeterminato, che poi però è stata riassorbita, con qualche effetto collaterale, fra l’altro, sull’apprendistato, contratto che per le parti sociali dovrebbe rappresentare una delle principali porte d’ingresso al mondo del lavoro, grazie anche alla sua componente formativa, e invece continua ad arretrare. Un ultimo dato, infine, riguarda i somministrati, quelli che si chiamavano una volta interinali: crescono, ma senza clamori.

Messi insieme tutti i pezzi, esce il quadro di un mercato del lavoro che si muove, ma che non ha ingranato certo la marcia dell’accelerazione decisa. Tutto questo, va detto, si registra nel contesto di una provincia che comunque è riuscita nel 2015 ad abbassare di oltre mezzo punto percentuale il tasso di disoccupazione, riportandolo al 5,8% dal 7,4% dell’anno precedente. E si registra nello scenario di un sistema economico molto diversificato: per aziende tecnologicamente avanzate e ben inserite sia sui mercati internazionali sia sulle strade dell’innovazione che assumono decine e decine di persone, ci sono molte altre realtà imprenditoriali più in affanno.

Proprio su questa divaricazione tra chi è dieci passi avanti e chi è un passo indietro, si inserisce una riflessione che va oltre la contingenza delle statistiche di breve periodo e guarda a una prospettiva più ampia negli orizzonti strategici e temporali, a partire dalla sfida della quarta rivoluzione industriale, la cosiddetta Industria 4.0. In un recente dibattito al Kilometro Rosso sul tema, è emersa una previsione occupazionale interessante. A livello mondiale, infatti, si teme che il saldo tra mestieri che saranno «rottamati» dalla rivoluzione digitale e quelli che saranno creati possa determinare la perdita di milioni di posti di lavoro. Stime più dettagliate indicano invece per l’Italia la possibilità di avere un saldo positivo, con 700 mila posti di lavoro che saranno superati dall’accelerazione tecnologica e 900 mila che saranno invece creati, anche attraverso nuove professionalità che oggi proprio non esistono. È chiaro che si tratta di una prospettiva che in qualche modo rasserena rispetto ai timori occupazionali legati alla quarta rivoluzione industriale.

Ma è altrettanto chiaro, come è stato opportunamente sottolineato anche al convegno, che distruzione e creazione di lavoro potranno non viaggiare di pari passo. Sarà bene, quindi, non aspettare gli eventi, ma anticiparli. Come la globalizzazione è stata inarrestabile, e alla fine sul piano industriale ha vinto chi non ha rincorso tout court i bassi prezzi ma ha scommesso sulla crescita in termini di qualità e di posizionamento sui mercati, così anche la quarta rivoluzione industriale si presenta come una sfida ineludibile e probabilmente vincerà chi saprà attrezzarsi per tempo, alzando l’asticella della produzione, delle competenze e degli investimenti. È una sfida per tutte le imprese, dalle piccole alle grandi. La materia non è semplice, anche solo per il fatto che non ci troviamo di fronte a un’unica tecnologia chiara e definita da seguire, bensì a una pluralità di opportunità da modellare sulle esigenze di ogni singola realtà. Ma vale la pena esserci e investire, per riuscire davvero ad avere un saldo positivo tra lavori che spariranno e nasceranno e per dare ancora un lungo futuro manifatturiero al nostro Paese.

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