L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 13 Novembre 2016
Il futuro del lavoro
passa per le città
Il futuro del lavoro passa per le città. In questa affermazione può essere riassunto il concetto chiave sviluppato e approfondito nel convegno internazionale «Nel cuore della nuova “Grande Trasformazione” del lavoro: una questione di sostenibilità» organizzato nei giorni scorsi dalla Università di Bergamo e Adapt, l’associazione di studi sul lavoro fondata dal professor Marco Biagi. Tre giornate in cui imprese, ricercatori, dottorandi e docenti di tutto il mondo si sono confrontati sulle sfide che il cambiamento in atto nei mercati del lavoro lancia quotidianamente.
E sembra proprio la città lo snodo intorno al quale la grande rivoluzione tecnologica e demografica in corso si potrà dipanare. Infatti ci troviamo di fronte a una radicale evoluzione strutturale del sistema delle imprese, che stanno mutando profondamente e rapidamente natura e fisionomia: da organizzazioni economiche verticistiche e chiuse, gestite secondo logiche giuridiche di comando e controllo in funzione della mera produzione e/o scambio di beni e servizi, a vere e proprie piattaforme di cooperazione aperte che operano in logiche di rete sul territorio, in un mercato oramai globale, dando luogo allo sviluppo di partenariati e distretti dell’innovazione e della conoscenza che sono allo stato di incerta qualificazione giuridica.
Per dar vita a tali processi le imprese non bastano più a loro stesse e necessitano di un dialogo costante e aperto con le scuole e le università, i centri di ricerca pubblici e privati, le istituzioni locali in grado di fornire loro infrastrutture e tutti gli altri attori che possono concorrere alla creazione di un valore che oggi è sempre più frutto di collaborazione e condivisione. In questa logica di economia reticolare le città acquistano un ruolo fondamentale come hub della conoscenza nei quali le imprese possono essere immerse in un ecosistema che fornisce gli stimoli e le competenze necessarie. È nella capacità o meno di attrarre flussi di competenze professionali, talenti, innovatori e anche di masse critiche di tecnologia e investimenti che si giocherà il futuro delle aree urbane che potranno o rifiorire o svuotarsi lentamente.
In tali contesti produttivi, animati da figure professionali ibride, a metà tra la ricerca scientifica e la gestione del cambiamento nei processi produttivi ed organizzativi, anche l’attività lavorativa vera e propria si svolge in una modalità simile a quelle di un processo circolare di formazione e di ricerca finalizzato ad «imparare ad apprendere» secondo una sequenza di lavoro produttivo fatta di studio, innovazione, progettazione e sviluppo. Cambia quindi il lavoro, sempre più caratterizzato da autonomia e responsabilità, in processi produttivi in cui la centralità delle preferenze del consumatore impone modelli flessibili, che possano e sappiano adattarsi rapidamente riducendo costi e sprechi. Questo processo non è esente da rischi: pensiamo per esempio al destino di quei lavoratori maturi espulsi contro la loro volontà dal mercato del lavoro e che hanno la necessità di ricollocarsi senza però possedere le adeguate competenze, o alla crescente età anagrafica media della popolazione lavorativa data dal calo demografico e dal miglioramento delle condizioni di vita, che impone come ripensare lavori che potranno vedere impiegate persone in età avanzata, o ancora a come gestire gli imponenti flussi migratori o prevenire i rischi ambientali a fronte di ulteriori processi di urbanizzazione e del sempre più marcato cambiamento climatico. Sono queste le sfide riassumibili nel concetto di sostenibilità del lavoro, e proprio la città ha, e deve sviluppare, gli strumenti per raggiungerla. A partire dallo sviluppo e diffusione di politiche che governino flussi migratori oggi disordinati, incentivino la creazione di nuovi lavori (tra i quali i cosiddetti lavori verdi), promuovano forme di welfare anche territoriale che tengano conto dell’esigenza di inclusione e un invecchiamento attivo, fino a un sistema moderno di politiche attive del lavoro che accompagnino innovazioni tecnologiche repentine nel quale la realtà urbana può essere una rete che fa incontrare domanda e offerta di lavoro mediante virtuosi processi di riqualificazione professionale e di raccordo o anche integrazione tra scuola, università, impresa.
Provocazioni che sanno di visioni futuristiche ma che, in realtà, descrivono il presente, e che non possono che interrogare anche Bergamo, il suo tessuto produttivo, il suo mondo universitario, le famiglie e tutta la società civile. Non è un caso che il convegno promosso dalla Università di Bergamo e da Adapt si sia tenuto in un luogo della grande tradizione italiana come il prestigioso complesso monumentale di Sant’Agostino che ha accolto a Bergamo esperti internazionali di oltre 70 Paesi ammirati dalla bellezza della nostra città. Per affrontare le sfide del futuro, che oggi fanno paura e che prospettano scenari da crescita senza lavoro, può infatti essere utile ricordare l’insegnamento di Sant’Agostino (Confessioni, XI, 20. 26) riportato sul sito del rettorato dell’Ateneo di Bergamo: «Il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa». Convegni come questo possono essere utili perché fissano i valori della tradizione contribuendo al tempo stesso a farli evolvere e a costruire nel presente una visione del futuro che certo potremo attendere con fiducia solo se sapremo immaginarlo e costruirlo tutti assieme ripartendo dalle persone e dalle vocazioni della nostra città.
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