Il caso Tria, il decretone
e le spine del Governo

Era raggiante ieri Paola Taverna quando ha preso la parola in aula al termine della turbolenta seduta in cui il Senato ha varato il «decretone» che contiene l’ultima versione del reddito di cittadinanza e della cosiddetta «quota 100». E, dal suo punto di vista, aveva ragione di sprizzare soddisfazione: per quanto largamente depotenziate dalla ristrettezza delle risorse a disposizione e ridimensionate da tanti paletti, sia l’una che l’altra misura rappresentano larga parte della stessa ragione sociale dei due alleati di governo. E per i grillini l’aver messo nero su bianco la loro idea del reddito di cittadinanza supera di gran lunga le critiche che piovono su quel provvedimento. Critiche che non stanno risparmiando nulla della politica economica del governo: ieri la Commissione europea ha di nuovo stroncato la manovra giallo-verde (nonostante il compromesso raggiunto e i diktat fatti rispettare ai ministri di Roma) non riconoscendole la capacità di spingere la ripresa e anzi disegnando l’Italia come uno dei principali fattori di preoccupazione per l’economia della Ue.

Parole che preludono all’ormai certa manovra correttiva che ci verrà imposta nei prossimi mesi e che costituisce l’incubo di Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia sa già che ancora una volta sarà stretto tra le esigenze elettorali dei due partiti e la pressione della Commissione, un mix micidiale la cui risultante è lo spread dei nostri titoli di Stato. Non solo: Tria, che è da tempo un ministro sopportato dai grillini, ha avuto l’ingenuità di sfogarsi in una trasmissione televisiva criticando le indecisioni sulla Tav («Chi vorrà più investire da noi sapendo che stracciamo retroattivamente i contratti internazionali?»), sia la nazionalizzazione dell’Alitalia («Deve trovare una soluzione di mercato»), sia la nomina di Pasquale Tridico al vertice dell’Inps. C’è voluto Salvini (ma ancor di più il Colle) per frenare la rabbia di Di Maio che avrebbe voluto la testa del mite professore servita in tavola già per la serata con dimissioni immediate. Tria sta invece ancora lì a segnalare le tante incongruenze della politica economica e sociale del mix giallo-verde. E che comunque lui per primo dovrà affrontarle tutte insieme al più presto. La prima prova, lo abbiamo detto, sarà proprio la manovra correttiva con probabile parziale aumento dell’Iva. Finora sono stati smentiti sia il prelievo forzoso che la patrimoniale, vedremo. Secondo Conte nella seconda metà dell’anno il RdC e le altre misure dispiegheranno i loro effetti - cui non credono la Commissione europea, la Banca d’Italia, la Confindustria, i sindacati, ecc. - dando una spinta al Pil che, previsto dal Governo all’1% (prima dello scontro con Bruxelles addirittura all’1,5) per il momento si ferma ad un misero 0,3 o forse addirittura meno. Tra queste misure espansive Conte considera anche lo sblocco dei cantieri e gli investimenti in infrastrutture pubbliche.

Peccato che sulla più importante di quelle infrastrutture, la Tav, si stia consumando uno scontro tra grillini e leghisti che ancora nessuno ha capito come finirà, e soprattutto se ci eviterà di perdere ingenti finanziamenti Ue, di pagare pesanti penali e restituire i fondi già incassati. Le recenti, brucianti sconfitte subite da Di Maio lo spingono ad essere intransigente almeno sulla Tav nonostante Salvini sia tempestato dalle proteste dei governatori e dai rappresentanti dei mondi produttivi del Nord. In tutto questo c’è poi il capitolo spinosissimo delle autonomie regionali: per la Lega è un fatto identitario, irrinunciabile; per i grillini un possibile detonatore di dissensi interni: già molti senatori hanno fatto sapere che non voteranno le nuove norme sulla legittima difesa. Insomma, Paola Taverna ieri in Senato aveva diverse ragioni per essere soddisfatta ma il rischio per lei e i suoi compagni di strada è che il domani sia molto meno soddisfacente.

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