L'Editoriale
Giovedì 21 Marzo 2019
Il caso Diciotti
Sguardo lungo
Un grave atto criminale, che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche, se non fosse stato per un ragazzino che è riuscito a liberarsi e a dare l’allarme. Il senegalese di 47 anni con cittadinanza italiana che ieri a San Donato Milanese ha sequestrato il bus che guidava con a bordo 51 alunni di seconda media, è stato arrestato con l’accusa di sequestro di persona e strage con aggravante del terrorismo. Ha dato fuoco al bus urlando «nessuno uscirà vivo, vanno fermate le morti nel Mediterraneo».
L’intervento tempestivo dei carabinieri ha evitato il peggio. La ditta per cui l’italo-senegalese lavorava ha dichiarato che l’autista non aveva mai dato problemi. Sui social la notizia ha scatenato un dibattito violento, con l’immancabile accusa agli immigrati di portare solo problemi. Ma il grave atto criminale è stato compiuto dall’autista in quanto di origini senegalesi o perché persona affetta da un’ossessione? È emerso che l’uomo ha precedenti penali per guida in stato di ubriachezza e per un caso di violenza sessuale su minore: non bastava per evitare di affidargli la guida di bus con bambini a bordo? La nostra Costituzione dice che la responsabilità penale è personale, non è cioè estendibile ad esempio al gruppo nazionale di appartenenza. Ma i distinguo di questi tempi lasciano il tempo che trovano.
Ieri al Senato intanto era messa al voto l’autorizzazione a procedere contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini sul caso Diciotti. Da una parte la linea secondo la quale la scelta di non far sbarcare per una settimana 170 migranti salvati dalla nave della Marina militare italiana era stata una scelta politica governativa e, come tale, non sindacabile; dall’altra l’accusa di abuso di un ministro per ottenere un personale vantaggio politico. I numeri in Aula erano a favore di Salvini e l’autorizzazione a procedere è stata negata. Per la verità il titolare del Viminale non ha alcun potere giurisdizionale, come il sequestro di un’imbarcazione con persone a bordo, che compete invece ai pubblici ministeri o ai giudici. Nel suo intervento il ministro ha detto che «non lascerò mai morire nessuno in mare». Poi ha citato i numeri che certificano il crollo degli sbarchi (153 mila nel 2015, 348 nel 2019) e dei naufragati (296 nel 2015, due quest’anno). Ma su quest’ultimo, tragico conteggio i numeri non tornano: dal gennaio scorso i morti sono stati oltre 150, 358 in tutto il 2018. Inoltre i tentativi di attraversamento sono quasi dieci volte più alti, ora anche dal Marocco: che fine hanno fatto i migranti non sbarcati? Secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni i morti nell’intero Mediterraneo nel 2018 sarebbero stati 2.297. La missione Sophia dell’Unione europea è prossima alla sospensione mancando un accordo tra i 28 Paesi Ue (l’Italia chiedeva una ripartizione dei porti d’approdo, ma Spagna e Grecia fanno già la loro parte e Malta è uno degli Stati con l’immigrazione maggiore in percentuale alla popolazione, 460 mila abitanti). È stata creata la Sar (zona marina di ricerca e soccorso) in Libia ma è una farsa finanziata dall’Europa. La Guardia costiera di Tripoli si limita a monitorare una parte della costa e rispedisce indietro le imbarcazioni che intercetta, rimandando nei lager il carico umano. E li chiamano porti sicuri. Messe al bando le ong, nelle acque tra Italia, Libia e Malta si è aperto un vuoto di presidio, fatta salva la vigilanza della nostra Marina militare e delle nostre Capitanerie di porto per qualche miglia oltre le coste italiane.
C’è poi una contraddizione politica sul Trattato di Dublino, che obbliga a fare domanda d’asilo nel primo Stato d’approdo. Il regolamento svantaggia l’Italia e permette ai Paesi confinanti di rispedire i migranti sul nostro territorio. La revisione del Trattato è all’ordine del giorno del Parlamento europeo che chiede ad ogni Paese Ue di fare la propria parte nei ricollocamenti dei migranti, pena la riduzione dei fondi strutturali che riceve. La Lega non si è mai presentata alle riunioni di negoziato, ha votato contro in commissione e si è astenuta in Aula, per non urtare la suscettibilità dell’alleato sovranista Viktor Orban, primo ministro dell’Ungheria. I 5 Stelle hanno votato contro. Se ne riparlerà dopo le elezioni di maggio. Poi diciamo che è tutta colpa dell’Europa.
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