Il braccio di ferro
tra Renzi e Grasso

La forzatura (e l’azzardo) di Matteo Renzi che ha imposto a tutti – al presidente del Senato Grasso, alla maggioranza, alla opposizione, al suo stesso partito – il passaggio diretto all’aula di Palazzo Madama della riforma costituzionale saltando l’esame in Commissione, sembra dunque che poggi su qualche certezza del presidente del Consiglio.

Tanto è vero che la prima votazione in aula, quella che ha bocciato le riserve di costituzionalità presentate dalle opposizioni, è andata bene, anzi più che bene: i 171 «no» su 315 vanno oltre le più rosee aspettative. Se questo numero rimanesse stabile nelle votazioni che seguiranno e soprattutto nello scrutinio finale (che sarebbe il terzo dei quattro previsti in caso di modifica della Costituzione), si potrebbe già pensare ad una vittoria sonante del presidente del Consiglio. È presto per dirlo, basta aspettare da qui ai prossimi giorni, ma il primo ostacolo è stato saltato con scioltezza e già questo induce palazzo Chigi all’ottimismo.

Del resto diversi esponenti della minoranza «dem» ora ammettono che il disegno di legge Boschi «passerà, non potrà non passare» e questo lascia credere che la sinistra stia pensando ad una uscita onorevole dalla battaglia. Probabilmente da una simile ipotesi si differenzieranno alcuni tupamaros che si sono esposti più di altri (Gotor, Mineo) ma non pare che costituiscano una pattuglia più di tanto numerosa.

Piuttosto la situazione in questo momento più difficile e in parte anche imbarazzante è quella che sta contrapponendo il presidente del Consiglio al presidente del Senato. È quest’ultimo che deve decidere se mettere o no in votazione l’articolo 2 della riforma (che ne costituisce il «cuore», elettività dei senatori compresa) dal momento che quell’articolo è già stato votato una prima volta sia dalla Camera che dal Senato nello stesso testo – anche se con una piccolissima differenza dovuta evidentemente ad una distrazione (un «dei» invece che un «nei»). Se Grasso opta per un nuovo voto apre la strada agli emendamenti dell’opposizione – Calderoli ne ha pronti milioni, addirittura – e quindi all’incognita più totale. Se invece Grasso dice: l’articolo 2 non si vota più perché ormai è chiara la volontà del Parlamento, l’esame della riforma supera lo scoglio più pericoloso.

Cosa farà l’ex magistrato antimafia? È chiaro quanto gli chiede Renzi, ma è anche chiaro che Grasso finora ostinatamente non si è pronunciato e anzi ha manifestato tutta la sua irritazione per come si sono sviluppate fin qui le cose, avendo avuto la sensazione di essere stato più volte scavalcato. Ieri prendendo la parola ad un convegno medico, Grasso ha detto: «Sono giorni convulsi e forse i prossimi saranno peggiori», che è una frase abbastanza sibillina. Matteo Renzi gli ha risposto in maniera indiscutibilmente polemica («Prenda le sue decisioni, noi ci comporteremo di conseguenza»).

Questa, alla luce della votazione di ieri, è la maggiore incognita che si presenta sulla strada del definitivo ridimensionamento del Senato e dell’addio al barocco sistema del bicameralismo perfetto, sulla cui farraginosità già nel lontano 1982 Enrico Berlinguer, e poco dopo persino Stefano Rodotà, avevano detto parole definitive. Vedi l’ironia della sorte.

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