L'Editoriale / Bergamo Città
Giovedì 21 Maggio 2015
Identificare chi sbarca
un dovere dello Stato
L’arresto del terrorista nelle vesti di migrante rende evidente anche ai dubbiosi che occorre agire. La solidarietà è dovuta e l’Italia è in prima fila. Mare nostrum è stata un’operazione di soccorso a mare additata ad esempio nella comunità internazionale. Ma adesso emergono i rischi, e un’infiltrazione di terroristi che utilizzano come copertura gli sbarchi dei migranti è un pericolo che non possiamo correre.
L’opinione pubblica italiana è colpita dalla dimensione umana del fenomeno migratorio, e si lascia trascinare da slanci emotivi che ora vanno compensati da una valutazione più razionale. La storia di questo marocchino di 22 anni arrestato nel Milanese per aver dato supporto logistico alla strage al museo Bardo di Tunisi è emblematica. Il 17 febbraio Abdel Majid Touil (alias Abdallah), arrivato in Sicilia a bordo di un barcone, viene identificato insieme ad altre 97 persone e riceve un provvedimento di espulsione dal questore di Agrigento. Dai Paesi di Nord ed Est Europa sono piovute in tutti questi anni accuse di compiacenza e approssimazione nell’identificazione dei migranti sbarcati. Sopraffatti dalla dimensione del fenomeno, dagli afflati di solidarismo e dall’incapacità organizzativa, le nostre autorità hanno chiuso un occhio - e a volte due - nella convinzione che in ogni caso molte di queste persone si sarebbero dirette verso altri Paesi, Germania in testa, considerati più prosperi.
La dimensione umana prevaleva su quella istituzionale e quindi statuale. Lo Stato in Italia, soprattutto al Sud, è a volte un’entità astratta, mentre la sofferenza di persone afflitte dalla miseria del mondo è tangibile ed immediata. Abbiamo assistito alla mutazione genetica di un corpo militare dello Stato trasformato in ente assistenziale. Un’ufficiale di marina donna al comando di un’unità preposta al salvataggio ha scritto addirittura un libro di successo sulla sua esperienza. Una grande confusione regna nell’aria, e improvvisamente corpi dello Stato dedicati alla difesa della patria e quindi all’eventualità di una guerra si ritrovano a vantare successi che hanno molto del caritatevole ma molto poco sul piano della tenuta operativo-militare.
Le accuse rivolte al presunto terrorista andranno verificate dalla magistratura italiana, ma resta evidente che al Paese in questo momento è richiesto un calcolo razionale sul rischio innescato dagli sbarchi incontrollati di clandestini. Che è poi quello che chiede l’Unione europea. Una delle clausole per accettare la suddivisione delle quote dei migranti per singolo Paese è di accettare sul territorio italiano punti di controllo - composti da rappresentanti degli altri Paesi - per l’identificazione di chi è sbarcato. Vuol dire che non ci si fida. Le impronte digitali sono determinanti per «definire» un soggetto che è privo di documenti e cambia nome in continuazione. Solo in questo modo è possibile mettere ordine negli arrivi di persone di cui non si sa nulla e che vanno collocate non solo nell’ottica dell’aiuto umanitario ma anche in quello della sicurezza, loro e nostra.
Le procedure d’identificazione sono necessarie anche per definire le ragioni della fuga dai Paesi di origine. Se provengono da Stati tormentati da guerre civili, o soggiogati da dittature crudeli che negano i diritti umani, scatta il diritto d’asilo. Ma se i motivi di migrazione sono economici, esistono i presupposti per l’accoglienza ma non per l’asilo. In Germania sono circa 100 mila, e le autorità tedesche non sono in grado di rimpatriarli o perché non si sa da dove vengono o perché il loro Paese non li vuole. Che fare? Un quesito che andrà risolto perché identificare vuol dire anche questo
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