L'Editoriale
Venerdì 19 Maggio 2017
I tweet di trump
inguaiano l’America
Alla vigilia del primo viaggio all’estero di Donald Trump, che culminerà nel vertice del G7 di Taormina, l’unica parola adatta a descrivere l’atmosfera di Washington è caos. «Sono vittima della più grande caccia alle streghe contro un uomo politico nella storia americana» ha twittato ieri mattina il presidente, dopo che la vigilia il vice ministro della Giustizia Rosenstein, cedendo alle pressioni del Congresso e dei media, aveva nominato Robert Mueller, per 13 anni capo dell’Fbi, procuratore speciale per l’inchiesta sui presunti contatti dei collaboratori di Trump con agenti russi durante la campagna elettorale.
Se a questa mossa, che ha preceduto tutti i precedenti tentativi di impeachment di un presidente, si aggiungono la rivelazione del direttore licenziato della stessa Fbi, Comey, che Trump gli avrebbe chiesto di insabbiare le indagini sul (già licenziato) presidente del Consiglio nazionale di Sicurezza Flynn, la continua polemica sulla rivelazione di informazioni top secret sull’Isis fornite da Israele al ministro degli Esteri russo Lavrov e la costatazione che ormai tutti i talk-show parlino di un nuovo caso Watergate, si può comprendere perché The Donald si consideri un perseguitato. E a cospargere altro sale sulla ferita ha provveduto il Washington Post, secondo il quale già nel giugno scorso, in piena campagna elettorale, il leader dei deputati repubblicani Kevin McCarthy avrebbe sostenuto in una riunione ristretta che Trump è al soldo di Putin.
Comunque, per quanto anche un certo numero di parlamentari repubblicani abbia cominciato a prendere in considerazione la possibilità di rimuovere Trump dalla Casa Bianca, la strada dell’impeachment è molto lunga e cosparsa di ostacoli. In base alla Costituzione, per mettere sotto processo un presidente, bisogna che egli si rende colpevole di tradimento, corruzione o altri crimini e misfatti (tra cui l’ostruzione della giustizia). Al momento, è di quest’ultimo reato che si potrebbe incolpare Trump, a seguito delle sue (per ora presunte) illecite pressioni su Comey. Ma il deferimento a giudizio richiede prima la maggioranza assoluta alla Camera e la condanna addirittura una maggioranza di due terzi al Senato, con entrambi i rami del Parlamento - almeno fino alle prossime elezioni di midterm del novembre 2018 -, sotto controllo repubblicano. A meno di una rivolta di massa dei Parlamentari del Grand Old Party contro il loro presidente, dovuta sia ad avversione personale sia al timore che egli li trascini a una catastrofica disfatta nelle presidenziali del 2020, la possibilità che Trump finisca sotto processo è per ora abbastanza remota. Ma, rispetto al Watergate che, dopo un processo durato mesi, portò alle dimissioni di Nixon, il susseguirsi di rivelazioni compromettenti è oggi così rapida che nessuna ipotesi viene più scartata. Bisogna infatti ricordare che se il Senato rimuovesse Trump, il suo posto non verrebbe preso da Hillary Clinton, come qualcuno potrebbe pensare, ma dal vice-presidente Mike Pence, un repubblicano ortodosso da cui i parlamentari si sentirebbero molto più tutelati.
Ma anche se non dovesse portare all’impeachment sognato dai democratici, il comportamento di Trump ha già inflitto danni gravissimi alla nuova amministrazione. L’abitudine del presidente di twittare la mattina - senza consultarsi con nessuno - sulla base di notizia apprese dalla Tv, spesso contraddicendo affermazioni fatte il giorno prima dal suo staff, crea confusione e frustrazione perfino tra i suoi fedelissimi. Per quanto siano passati ormai 120 giorni dal suo insediamento, The Donald deve ancora riempire centinaia di posti-chiave che gli spettano in base allo spoil-system, perché non trova persone valide disposte a compromettersi con lui. E a parte una molto discussa riforma dell’Obamacare, che peraltro deve ancora passare al vaglio del Senato, il suo grandioso programma legislativo – a cominciare dalla riforma fiscale – è rimasto fermo al palo. Non c’è da stupirsi che l’indice di gradimento di Trump sia il più basso di tutti i presidenti del dopoguerra e continui a scendere.
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