L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 28 Novembre 2016
I referendum
tra Rovetta e Michigan
In questa vigilia di grande referendum, forse non si è abbastanza riflettuto sul piccolo referendum che all’ombra della Presolana, a Rovetta e dintorni, ha chiamato gli abitanti a decidere se fondere cinque Comuni per farne sopravvivere solo uno. E questo nonostante la vulgata corrente insista tanto sulla necessità di diminuire i Comuni e le relative «poltrone». Sarebbe naturalmente ardito costruire un collegamento tra una mini consultazione e i grandi fatti di democrazia diretta del 2016 in tante parti del mondo, con i riflettori puntati in particolare sul Regno Unito della Brexit e sugli Usa delle elezioni presidenziali, che sono state forse più un referendum sulla Clinton che la scelta di Trump.
Ma, nel gran dibattito in corso sulle ragioni profonde di esiti sorprendenti rispetto alle previsioni, forse anche i nostri concittadini dell’alta Valle Seriana ci forniscono qualche spunto di riflessione. Dietro l’unanime scelta del No in tutti e cinque i Comuni c’era di sicuro la conoscenza del tema in discussione. Il mantenimento delle vecchie organizzazioni locali è un po’ anche la difesa delle radici, dei campanili, e questi sono sentimenti più che rispettabili.
Può anche aver avuto forza la constatazione che la semplice condivisione di servizi e funzioni ha dato buona prova di sé e infatti, dopo il voto, la tendenza è ora quella di rafforzare l’Unione dei Comuni esistente. Ma fa pensare il fatto che tutti i sindaci si erano invece espressi per il Sì, pur ciascuno di loro conoscendo bene il probabile esito. Segno che i sindaci – contrariamente alla banale retorica anticasta della difesa della «poltrona» - hanno fatto una riflessione pragmatica e realistica nel sostenere il Sì, mentre i cittadini hanno fatto più una scelta sentimentale. Ma ecco qui un punto di collegamento tra la mini consultazione seriana e le grandi svolte mondiali. Se i sentimenti (un misto di sfiducia e di nostalgia) prevalgono, scatta più facilmente il No del Sì. Saranno anche sentimenti superficiali, non profondi, ma non per questo sono meno rispettabili.
Commentando i sondaggi sul 4 dicembre, Antonio Polito ancora pochi giorni fa sul Corriere si poneva una domanda: e se invece, a dispetto di tutte le giaculatorie sul cambiamento, sotto sotto gli italiani sono ancora affezionati alla loro vecchia Costituzione? Scavando meglio tra i risultati delle presidenziali Usa, Beppe Severgnini a sua volta ha segnalato una cosa che dovremmo già sapere e cioè che – soffocata dalla crisi economica – la gente non si fa più guidare dalla distinzione destra-sinistra.
In America, ma anche in Gran Bretagna, la dicotomia è stata tra città e campagna. La Clinton e il «remain» hanno stravinto in quasi tutte le città, mentre, se ci fossero stati solo i piccoli centri, Trump avrebbe vinto con il 62% contro il 34%. C’è anche qualcosa di più dell’altra analisi oggi molto diffusa e cioè quella della classe medio-bassa ai margini, che si vendica della supponenza delle élites. Infatti bisognerebbe pensare in fretta a come gestire questi contrasti, prima che il mondo della post-verità illustrato qui da Franco Cattaneo, sia governato solo dai Trump, dai Farage, dalle Le Pen, proprio mentre cresce il ruolo dei Putin.
Ilvo Diamanti sulla Repubblica è giunto a tessere l’elogio della mediazione, cioè l’elogio della politica, qualcuno direbbe della vecchia politica e dei vecchi partiti. Perché, dire – come si dice comunemente – che la politica non è più in sintonia con i cittadini è cosa vera, ma i partiti sono cambiati in modo radicale, e Diamanti infatti parla di nostalgia per i (buoni) partiti, quelli che avevano i terminali nella società – dalla sezione al sindacato - e forse sarebbero stati oggi più pronti ad interpretare la volontà popolare. E ciò ben al di là della sola percezione della protesta, che è un dato facile da rilevare, ma insufficiente per costruire una politica, in quanto produce movimenti che la cavalcano e basta, e incoraggia altri all’imitazione, non all’alternativa. Insomma, almeno adesso che i soloni delle grandi analisi e dei sondaggi presuntuosi sono in crisi di identità, varrebbe la pena di ascoltare di più il senso profondo di certi sentimenti, senza distinguere più di tanto tra Songavazzo, Rovetta, Fino del Monte e un piccolo centro del Michigan o del Devonshire.
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