L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 31 Gennaio 2018
I costi in sanità
un rebus elettorale
Prima l’assalto ai Pronto soccorso, poi la tirata d’orecchie ai medici di famiglia, infine la querelle sui fondi per tagliare le liste d’attesa degli esami più richiesti dai cittadini. Complice un’influenza più «cattiva» del previsto - e l’avvio della campagna elettorale per le prossime elezioni regionali -, non c’è dubbio che per la sanità lombarda il nuovo anno si sia aperto all’insegna delle critiche e delle criticità, con i consueti rimpalli di accuse e di responsabilità su quanto fatto e quanto non fatto per avere un sistema sanitario efficiente, su quanto investito o non investito per coprire le esigenze di tutti.
Ma un sistema sanitario a misura di malato costa tanto, tantissimo, molto più di quel che possiamo immaginare. Tuttavia prima ancora di numeri è necessario occuparsi di parole: chi è il malato? Colui che soffre di una patologia o colui che crede di soffrirne? La differenza è fondamentale, se non addirittura dirimente. La natura umana, infatti, è il primo grande ostacolo da abbattere, ancor più dei costi, molti dei quali sono «solo» la conseguenza delle nostre paure. O le conosci e le sai gestire, oppure al Pronto soccorso ti presenti sempre e comunque: l’idea che dopo aver mangiato pesante si possa anche avvertire un «fardello» sullo stomaco senza che necessariamente sia colpa del cuore non ci sfiora nemmeno lontanamente, più probabile l’infarto, e dunque meglio andare in ospedale. C’è da aspettare un bel po’? Non è un problema, aspetteremo. C’è da pagare il ticket perché alla fine ho solo mangiato pesante? Pazienza, la salute non ha prezzo.
Single o genitore, il discorso non cambia. Il piccolo ha 39 di febbre da un paio di giorni? Influenza? Forse, ma potrebbe essere meningite, quindi subito in ospedale senza nemmeno passare dal pediatra. Ma segni di meningite non ce ne sono e dunque c’è da aspettare cinque ore. Stare in coda? Giammai! E via con gli insulti sui social: «Una vergogna, mio figlio sta male e siamo qui accampati come disperati in attesa che si veda un medico...». Pioggia di «like» garantita. Siamo fatti così... e cambiare sembra essere impossibile. Ma se è vero che ciò che non sappiamo gestire ci fa paura (soprattutto in sanità), ecco che ci vorrebbe qualcuno che ci aiuti a capire - e poi a gestire - quel che c’impaurisce. Il medico di famiglia? Sarebbe bello, certo, ma torniamo al punto di partenza. Si fa un gran parlare di appropriatezza, ma tra il dire e il fare... Quello della congruità delle cure è un tema davvero decisivo per il contenimento dei costi, ma chi di noi va in ospedale per un esame e ritorna a casa sano? Vuoi non trovare un colon irritabile? Un piccolo angioma al fegato, un calcolo alla cistifellea piuttosto che un micro calcolo renale? Forse sono lì da anni, asintomatici, senza aver nulla a che fare con il motivo del malessere che ci ha portato in corsia. Ma lasciar perdere, a questo punto, non è più possibile: via con tutti gli accertamenti del caso. Con la conseguenza che la ruota dei costi inizia a girare, e gira, gira... sempre di più.
Attenzione, però, i costi non sono solo dovuti ai nostri comportamenti «malsani», ce ne sono molti altri che è impossibile non considerare. Ad esempio quelli legati ai nuovi farmaci: presto sul mercato ne arriveranno più di 7 mila, la maggior parte dei quali molto costosi, proprio perché più sofisticati che in passato e in grado di aggredire davvero malattie particolarmente gravi. Una spesa di cui deve farsi carico il Servizio sanitario nazionale. Ad esempio, quelli legati all’aggiornamento o l’acquisto di nuovi strumenti di diagnostica (Rm, Tac e via dicendo), sempre più tecnologicamente avanzati e in grado di scoprire di più e meglio. Ad esempio, quelli per sostenere le necessità di una popolazione che continua ad invecchiare, ed è noto a tutti che più ci si avvicina alla fine dei nostri giorni e più si consumano «risorse» in campo socio-sanitario. Ad esempio (non lo dice mai nessuno, ma tra non molto sarà così), quelli per soddisfare i bisogni di una popolazione di mezza età che in gioventù ha fatto uso di droghe e che a cinquant’anni sarà alle prese con malattie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer o le demenze in generale, i cui costi (anche sociali) sono pesantissimi.
Già oggi, la carenza di fondi non consente agli ospedali di disporre di piante organiche adeguate né di coprire il turnover di medici e infermieri, con conseguenti turni di lavoro più lunghi (non conformi alla normativa europea, esponendo così gli ospedali a una serie di contestazioni e ricorsi), e un rischio più elevato di commettere un errore a causa della stanchezza. Errori da cui deriverebbero altri costi per metterci una pezza, cui andrebbero ad aggiungersi anche quelli dovuti ai conseguenti rincari dei premi delle assicurazioni, sempre più insostenibili per medici e aziende ospedaliere. Già oggi la carenza di fondi non consente (in Lombardia!) di raddoppiare i posti della scuola di formazione per medici di famiglia, pur sapendo che dal 2021 il problema della carenza dei medici di base potrebbe diventare «esplosivo» (nella sola Bergamasca, dal prossimo anno, mancheranno un centinaio di medici e una quindicina di pediatri). Pochi medici di famiglia, sempre meno medicina sul territorio, anche se oggi si vorrebbe/dovrebbe riorganizzare l’assistenza sanitaria secondo il principio dell’intensità delle cure, attraverso una rete integrata di servizi costruita sui reali bisogni del paziente, da assistere dunque non più solo in ospedale, ma in strutture intermedie (che oggi, sostanzialmente, mancano), negli ambulatori dei medici di famiglia piuttosto che al proprio domicilio, con risultati migliori o comunque molto simili.
In poche parole, occorre investire, ma soldi non ce ne sono. Dunque? Quale sarà lo scenario che ci troveremo di fronte nei prossimi anni? Difficile dirlo, tuttavia qualche ipotesi è possibile avanzarla. La politica non sembra essere in grado di generare una classe dirigente capace di mettere mano a un problema tanto complesso e delicato, a meno che adotti drastiche soluzioni, ma estremamente impopolari, dentro e fuori le urne. I Lea – i Livelli essenziali di assistenza - subiranno lievi ma continui tagli, mentre la compartecipazione del cittadino alle spese (ticket e d’intorni) subiranno lievi ma costanti incrementi, alla ricerca di un equilibrio che non si troverà mai. Il sistema pubblico continuerà ad annaspare, quello privato si consorzierà sempre di più in grandi gruppi per ottimizzare i costi e intaccare il meno possibile i ricavi, intensificando molto probabilmente l’offerta che (anche in sanità, purtroppo) genera la domanda…
Presto o tardi saremo tutti costretti ad aprirci un’assicurazione che ci aiuti a sostenere le spese mediche. Qualche pubblicità la si era già intravista lo scorso Natale - «Regalati una polizza…» -, ma è indubbio che sarà questo il fronte su cui ci si muoverà nei prossimi anni (e chissà che qualche medico di famiglia non terrà aperto l’ambulatorio anche nei weekend). Niente di male, per carità, a patto che anche i più deboli vengano ben tutelati. Sarà interessante vedere cosa succederà tra il sistema pubblico - che, per contenere i costi, metterà mano principalmente all’«essenziale» – e quello privato, che invece avrà maglie selettive un po’ più larghe per reggere l’impresa. L’appropriatezza, alla fine, è un termine piuttosto vago… In mezzo ci saranno le assicurazioni, che pur firmando accordi e convenzioni (più con i secondi che con i primi) terranno comunque ben stretti i cordoni della borsa. Triste, ma molto curioso, e comunque tutto da vedere. Possibilmente da sani. Con l’aria che tira, per ammalarsi c’è sempre tempo…
© RIPRODUZIONE RISERVATA