Hillary vola ma gli Usa
voteranno con il dubbio

Ormai non ci sono più dubbi: Hillary Clinton sarà la prossima presidente degli Stati Uniti, stabilendo un paio di record: sarà la prima donna e la prima moglie di un ex-presidente a occupare la Casa Bianca. La notte scorsa ha dominato anche il terzo e ultimo dibattito televisivo con Trump, adottando l’ atteggiamento aggressivo e sarcastico che fin qui era stata l’ arma principale del suo rivale. Dagli ultimi sondaggi, risulta in testa in buona parte degli stati-pendolo, quelli che decidono le elezioni, e ha un vantaggio di almeno sette punti nel voto popolare.

Il «termometro elettorale», pubblicato settimanalmente dal New York Times, le assegnava ieri l’ 89% di probabilità di vittoria, il che significa che soltanto un incidente di percorso, come un improvviso problema di salute o qualche clamorosa rivelazione sul suo passato, possono sbarrarle la strada.

Questo, peraltro, non significa che Hillary possa aspirare a diventare la presidente di tutti gli americani: vincerà soprattutto grazie ai voti delle donne e delle minoranze nere ed ispaniche, mentre gli uomini bianchi, specie delle classi medio-basse, sono ancora in maggioranza favorevoli a Trump, e una parte dei seguaci del suo ex-concorrente democratico di sinistra Bernie Sanders, che la considerano troppo legata all’ establishment finanziario, se ne staranno probabilmente a casa.

Altrettanto faranno molti repubblicani moderati, disgustati dalla personalità, dallo stile e dal livello della campagna elettorale di Trump, ma che di votare per una candidata democratica non se la sentiranno proprio.

L’ elezione del 2016, già giudicata la peggiore nella storia del dopoguerra, rischia perciò di essere anche quella con il più alto tasso di astensionismo. Nonostante il suo ormai certo trionfo, la Clinton rimane profondamente impopolare, tanto che il 56% dei cittadini dicono di non fidarsi di lei. Richiesto di dire per chi intendeva votare, il politologo Joe Klein ha risposto: «Non ho voglia di scegliere tra la padella e la brace».

Il principale interrogativo non riguarda più l’ esito della battaglia per la Casa Bianca, ma di quelle per il Senato e il Congresso, oggi entrambi controllati dai repubblicani. L’ establishment del partito teme che il «disastro Trump», aggravato dalla dichiarazione (poi parzialmente corretta) del candidato che forse non riconoscerà la legittimità delle elezioni, possa fare perdere loro il primo, dove hanno una maggioranza di quattro seggi su cento, e possibilmente anche il secondo, dove ne hanno una più solida di trenta. Nel timore di perdere il proprio collegio, numerosi candidati repubblicani si sono più o meno apertamente dissociati da Trump e alcuni hanno addirittura annunciato che non lo voteranno; altri hanno avuto paura di alienarsi in questo modo le simpatie della base pura e dura che sosterrà comunque il miliardario newyorchese e stanno facendo i pesci in barile.

Ma se anche riuscisse a salvare le sue maggioranze parlamentari, consentendogli di condizionare la politica di Hillary, il Grand Old Party rischia di uscire a pezzi da questa consultazione, spaccato come non mai tra moderati ed estremisti.

Il bassissimo livello della campagna elettorale, basata più su scambi di accuse e addirittura di insulti che su un confronto di programmi, rende difficile fare previsioni attendibili su ciò che accadrà quando la Clinton prenderà il posto di Obama. Considerato il suo operato come Segretario di Stato tra il 2008 e il 2012, sarà probabilmente più interventista in Medio Oriente e più dura nei confronti della Russia, mentre dovrebbe mettere fine all’ ostilità che l’ attuale presidente nutriva, specie negli ultimi tempi, per il tradizionale alleato Israele.

In politica interna, seguirà probabilmente la linea di Obama, potenziando la sua riforma sanitaria e cercando un compromesso con i repubblicani sull’ immigrazione. Avendo la possibilità di scegliere un progressista per il posto vacante alla Corte suprema, dove oggi c’ è una specie di pareggio tra destra e sinistra, incoraggerà uno spostamento a sinistra della politica sociale e cercherà di limitare la libera vendita di armi. Nel suo programma, c’ è anche un aumento delle tasse per i ricchi, ma visti i suoi rapporti con Wall Street molti dubitano che se ne farà qualcosa.

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