L'Editoriale
Mercoledì 28 Settembre 2016
Hillary manca
il colpo del ko
Chi pensa che Hillary Clinton abbia già nuovamente un piede nella Casa Bianca farebbe bene a ricredersi, almeno fino a metà ottobre. Anche se l’ex first lady è in testa nei sondaggi, la storia delle Presidenziali insegna che la vittoria si ottiene solo «nell’ultimo miglio».
Accadde anche a Nixon, quando perse per un soffio (zero virgola uno per cento) le elezioni contro un Kennedy giovane, sicuro e seducente, nell’ultimo confronto Tv (si dice perché sudava troppo e aveva un’ombra di barba mal rasata sul viso). Nel primo dei tre round televisivi, durato un’ora e mezzo, davanti a cento milioni di americani, ha vinto Hillary Clinton, ma la candidata non ha mai sferrato il colpo del ko contro il magnate Donald Trump, che ha fatto di tutto per mostrare una calma olimpica, «presidenziale», in modo da smentire la fama di chi lo dipinge inadatto a governare, isterico e imprevedibile.
Anche la Clinton è apparsa sicura e convincente, meno nervosa, ma non si è visto il momento decisivo, l’affondo. Evidentemente ancora troppi sono gli indecisi e quindi i temi su cui fare sintesi politica. La partita resta aperta, visto che mancano ancora due round, cruciali per attirare i voti della larga fetta di chi ancora non sa chi votare, che oscilla sul 20 per cento.
Finora Hillary Clinton è davanti di un soffio, sicura di sé nel dibattito moderato dal giornalista della Nbc Lester Holt, che ha messo in seria difficoltà Trump quando gli ha chiesto come mai avesse negato per anni la cittadinanza americana di Obama. Solo a tratti Trump è apparso impaziente e nervoso, nonostante gli sforzi. Ovvio che si trovi più a suo agio davanti alle folle, da bravo tribuno miliardario, che in uno studio televisivo dove deve argomentare rispettando i secondi e decimi di secondo. Trump ha fatto di tutto per dipingere la Clinton come un membro dell’establishment americano, ormai da tanti, troppi anni alla ribalta.
Insomma, in un certo senso il magnate ha ribaltato i ruoli: lui, nonostante si presentasse a nome dei repubblicani, l’uomo del cambiamento, dell’innovazione, di una nuova stagione dell’America, lei invece legata al passato e quindi conservatrice, nonostante corresse per i democratici, considerati più progressisti. Tanto è vero che Trump ha additato le colpe della crisi iniziata nel 2008 proprio al marito Bill, nonostante la sua stagione presidenziale economicamente ruggente.
La Clinton, con grande pacatezza (ha persino chiamato Trump «Donald», confidenzialmente) ha sottolineato che quelli non sono difetti, ma segni di credibilità e saggezza. La stampa americana sostiene che Hillary è la vincitrice, ma la stampa americana è quasi tutta compattamente a favore della Clinton, compresi i giornali filo repubblicani, e pecca un po’ di partigianeria. Quanto ai contenuti, i temi del confronto sono stati l’economia, le tensioni razziali, la sicurezza nazionale, molto meno la politica estera e la situazione in Siria e la «guerra fredda» che si sta combattendo tra Stati Uniti e Russia.
Come nello stile delle campagne americane (ma anche quelle europee e italiane non scherzano) non sono mancati gli attacchi personali. Se la Clinton ha accusato Trump di aver occultato le sue dichiarazioni dei redditi, insinuando che «forse non è così ricco e soprattutto così generoso come dice di essere», il tycoon ha ricordato all’ex segretario di Stato di aver utilizzato un banale indirizzo di posta elettronica per questioni delicatissime e sensibili. Lei ha ammesso: «Ho fatto un errore».
Colpisce la vaghezza con cui i due candidati hanno affrontato molti temi. Sulla sicurezza nazionale e il conflitto razziale, Trump non ha trovato di meglio che invocare «legge e ordine», senza andare nei dettagli ed esprimere il suo pensiero. Quanto alla Clinton ha evocato molto vagamente il divieto di vendita di armi (Obama è stato molto più esplicito), consapevole di rischiare di perdere una buona fetta dell’elettorato indeciso soprattutto del Sud, come il Texas, Stato federale di pistoleri ed armaioli (ma non il solo).
La Clinton ha vantato la sua esperienza nel campo della politica estera e Trump ha ribattuto: «Sarà esperienza, ma è una cattiva esperienza». Dell’Isis si è parlato poco, persino Trump è apparso a tratti vago e confuso, quando avrebbe potuto tranquillamente affondare il colpo. Evidentemente i massacri siriani e lo Stato Islamico sono un problema che interessa molto più l’Europa che l’America.
Il secondo round si svolgerà domenica 9 ottobre alla Washington University di St. Louis. A quel punto avremo le idee un po’ più chiare su chi potrebbe essere il nuovo inquilino della Casa Bianca, se ci sarà un «turning point», un punto di svolta.
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