Grandi opere urgenti solo a parole. Non c’è tempo

Con il Next generation Eu c’è un nodo innanzitutto culturale da sciogliere, quello della dotazione infrastrutturale del Paese. È uno di quei casi tipici del «se non ora, quando?». Aggiungendo ai miliardi già stanziati e mai spesi, altri 32 miliardi, obbliga ad una prova verità le forze politiche. Tutte keynesiane a parole (si veda l’istruttivo articolo di Mario Comana su L’Eco di Bergamo del 26 marzo) ma ciascuna nei fatti con una sua fantasiosa interpretazione della dottrina espansiva di Lord John Maynard. La sostenibilità è una cosa seria, non un modo un po’ più raffinato per rinviare la mobilità di cui ha bisogno un Paese moderno.

Le linee guida europee danno per scontato che l’Italia, oltre che di infrastrutture digitali, si debba dotare di quelle pesanti: Alta velocità verso Sud e finalmente in Val Padana (tutta intera, perché non è possibile che Trieste sia irraggiungibile), aeroporti, porti, dighe foranee, logistica.

Tutte realizzazioni che non si costruiscono con la panna montata, ma con progetti che per fortuna ci sono, perché con il contributo della competenza di Ferrovie, Eni, Leonardo, erano già scritti, per il resto mediocre, brogliaccio del Governo Conte. L’Europa non ha paura di pronunciare parole come asfalto, acciaio e cemento, perché ferrovie e autostrade si costruiscono con questo, non con le carte bollate o i convegni. Il Next generation Eu va sul concreto. Sostenibile vuol dire qualità: digitalizzazione, risparmio energetico, monitoraggio 4.0, rispetto idrogeologico e sismico. Ma per erogare fondi ci chiede di smetterla con le lentezze, i rinvii, gli eterni dibattiti, gli alibi, gli scaricabarile burocratici. Le imprese italiane stanno pagando l’11% in più di quelle concorrenti solo per l’arretratezza della nostra logistica. Non quella privata, cui è bastato aprire la Brebemi per far esplodere valore aggiunto, occupazione, rivalutazione dei valori immobiliari. Ma quella pubblica, ben più importante. Basterebbe realizzare l’accesso a due vie nel porto di Genova per farlo vincere su Rotterdam, più vicino alle rotte verso Oriente.

Il nemico del Next generation Eu è il tempo. Le scadenze sono inesorabili e Bruxelles chiede che entro il 2026 non ci siano promesse di carta ma che i treni già viaggino, gli autobus ecologici siano in circolazione, i porti siano attivi. Con i metodi italiani, un’utopia. Bisogna allora dimezzare i tempi delle decisioni, e rivedere procedure come Via e Vas, che non si capisce perché debbano essere misurate a semestri, non a mesi di lavoro. E non è sensato che siano duplicate: per un’opera regionale, basta la Regione. Una volta concluse le procedure non si può rimettere tutto in discussione da capo, si va avanti. L’elenco delle grandi opere già finanziate ma ferme, è lungo almeno 60 capitoli. Si era deciso di commissariarle ma il governo Conte lo ha fatto diventare un passaggio in più. Sarebbe stato necessario commissariare chi doveva commissariare.

Ora si sta ridiscutendo del Codice degli appalti, ma abbiamo voluto fare i primi della classe e riscrivere quello europeo, complicandolo fino alla paralisi. Dunque, la sfida del Next generation Eu è anche un po’ un’ultima spiaggia. Secondo il più recente studio della Bocconi sui costi del non fare si parla di 606 miliardi di costo fino al 2030, di cui ben 379 dovuti alle carenze della banda ultralarga. Basta con le lungaggini e i ripensamenti. Una linea ad Alta velocità come la Milano-Venezia prevede ad oggi 33 anni dal momento della decisione iniziale (1995) all’entrata in esercizio, mentre la Monaco-Verona batte tutti i record: 55 anni. E il bello è che poi quelli che le hanno rallentate proclamano che ormai non servono più perché in ritardo. Il paradosso è che le realizzazioni operative (quando si dà lavoro e si mettono in circolo i miliardi di Pil) sono rapidissime, mentre quelli che in gergo sono definiti di «tempi di attraversamento», ovvero il passaggio da una fase all’altra, si portano via il 54% del tempo totale! Per capire che tutto ciò non è mero industrialismo e sviluppismo, ma anche questione sociale, dovrebbe bastare la dichiarazione del presidente della Comunità della Val Brembana che ha chiesto su questo giornale infrastrutture per combattere lo spopolamento e la morte della Valle.

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