L'Editoriale
Lunedì 25 Settembre 2017
Governo Telecom
Una storia italiana
A breve Palazzo Chigi sarà chiamato a prendere posizione sulle vicende della francese Vivendi che, dallo scorso anno, ha assunto il controllo di Telecom. Vivendi segna l’epilogo di una lunga storia che ha inizio nel 1997 quando il governo Ciampi decise di vendere il 35,26 per cento di Telecom, costituita nell’agosto 1994 con l’incorporazione di 5 società: Sip, Iritel, Telespazio, Italcable e Sim. L’operazione, definita la «madre di tutte le privatizzazioni», consentì al governo di ottenere in extremis l’ammissione dell’Italia all’euro fin dalla fase iniziale.
Telecom era un’azienda tecnologicamente avanzata, altamente competitiva, la quarta in Italia per fatturato e la prima per valore aggiunto, con un utile che superava l’11% del fatturato e con pochi debiti, visto che gli oneri finanziari non raggiungevano il 2% del fatturato. Condizioni ideali per attirare azionisti privati, disposti a investire nel lungo periodo. Le cose, come ben sappiamo, non sono andate proprio così.
I primi acquirenti si riunirono intorno ad un nocciolo duro del 6,62%, rappresentato dalla Fiat, che non riuscì a dare stabilità all’azionariato, aprendo la strada a possibili scalate. Di una di queste, a fine 1999, fu protagonista Roberto Colaninno, a capo di una cordata d’imprenditori padani unitisi con Olivetti, già nel settore delle Telecomunicazioni con Omnitel e Infostrada. Fu acquisito il 51% delle quote di Telecom, grazie a un debito contratto con banche estere per 60 miliardi, che fu successivamente scaricato sui bilanci societari.
Ciò avvenne anche perché andò deserta un’assemblea straordinaria alla quale non presero parte il Tesoro e la Banca d’Italia, in nome di una non meglio precisata «neutralità» imposta dal governo presieduto da Massimo D’Alema. Già nel 2001, però, la quota di Olivetti, in conseguenza di dissidi interni, venne rilevata da Pirelli e Benetton cui si aggiunsero, qualche anno dopo, Mediobanca e Generali. La situazione divenne, anno dopo anno, sempre più difficile. Emersero contrasti interni, tanto che nel 2007 Tronchetti Provera decise di mollare la presidenza. Si fece, allora, avanti la spagnola Telefonica, ma a questo punto intervenne il governo, preoccupato di raggiungere un compromesso sul controllo della società. Fu raggiunto un accordo tra Telefonica e un gruppo di azionisti italiani, Intesa, Generali, Mediobanca e Benetton, che insieme crearono la Telco, una spa che deteneva il 23% di Telecom. L’intesa non durò a lungo e gli azionisti privati lasciarono il controllo a Telefonica. Quest’ultima, successivamente, ridusse sotto il 10% la propria partecipazione e ciò aprì le porte alla francese Vivendi che, dopo varie vicissitudini, nel febbraio 2016 acquisendo il 23,65 del capitale di Telecom ne divenne proprietaria. Preso atto di ciò, dopo qualche mese la Consob stabilì che Vivendi, avendo l’obbligo di esercitare il «controllo» e non solo la «direzione e il coordinamento» della società, dovesse assumere in bilancio anche il debito pregresso di circa 26 miliardi di euro. Contro questa decisione Vivendi ha annunciato un ricorso al Tar. La posizione assunta dalla Consob, peraltro, ha aperto le porte ad una possibile azione dell’Agcom che, preso atto dell’acquisizione di Vivendi del 29,9% di Mediaset, vista la sua «influenza dominante» su Telecom potrebbe costringere la società a cedere in toto o in parte la quota in Mediaset o in Telecom.
Nel frattempo, il governo italiano sta studiando in che modo intervenire per assicurare gli interessi del Paese rispetto alle future strategie di Vivendi. In ciò potrà farsi forte anche della recente decisione del governo francese d’impedire che Fincantieri acquisisse la Stx, ricorrendo alla sua nazionalizzazione. Guardando a quest’ultima decisione, c’è chi sostiene che il governo dovrebbe emettere un decreto per costringere Telecom Italia a spegnere la rete fissa in rame dei telefoni entro una certa data e ottenere l’agognato passaggio alla banda ultralarga. Il Ceo di Vivendi, d’altro canto, si dichiara pronto ad operare una complessa strategia che porti, tra l’altro, ad uno scorporo della rete Telecom.
Come andranno a finire le cose non è dato sapere. Ciò che appare chiaro, invece, è come l’intera vicenda narri di una triste storia di capitalismo nostrano, incline a far prevalere egoismi e interessi di parte a discapito di quelli societari. Davvero inspiegabile, o meglio ancora, inconcepibile, come sia stato possibile che sia stato consentito a società straniere di assumere il controllo di un settore vitale per un Paese come la telefonia.
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