Governo in affanno
Gentiloni in ripresa

Alla fine, la barca del governo è rimasta a galla nonostante il mare mosso che tanto più si agiterà quanto più ci avvicineremo alle elezioni di marzo, sempre che - beninteso - non si vada a votare prima, ipotesi non molto probabile ma pur sempre possibile. Ieri gli scissionisti del Pd hanno rifiutato di votare la risoluzione di maggioranza sul documento di economia e finanza (Def) con cui si approvano i numeri del bilancio dello Stato e del disavanzo tra entrare e uscite.

Il non voto su un atto così vitale per il governo di per sé significa una sola cosa, che Mdp esce dalla maggioranza: infatti i vari esponenti del movimento hanno dichiarato di sentirsi ormai «con le mani libere». È pur vero che, per non far precipitare la situazione, i bersaniani hanno successivamente votato un altro documento che autorizza il governo a sforare il bilancio dell’1,6 per cento sul Pil, ma questo certo non ha cancellato lo strappo politico. E così mentre si allontanano dalla maggioranza di governo gli ex democratici, tornano determinanti i vari gruppi di centro e centrodestra che negli ultimi tempi si erano un po’ eclissati: grazie a loro – a Denis Verdini, per intenderci – il governo ieri non è caduto. Ma la sua navigazione d’ora in poi sarà più esposta ai venti contrari.

Come in varie circostanze è accaduto nella legislatura, la causa di questo sommovimento è tutto interno al centrosinistra. In quell’area politica si combatte senza requie una battaglia per la leadership da cui i vari contendenti rischiano di finire tutti sconfitti alle elezioni politiche del 2018. Da una parte Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema (con l’appoggio di Nichi Vendola e Nicola Fratoianni) lavorano per cancellare dalla scena politica Matteo Renzi e riprendersi il «loro» partito; dall’altra il Pd dei quarantenni punta ad una egemonia senza competitori e senza gli intralci degli ex padroni della Ditta diessina.

In mezzo sta l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia che, essendosi ripromesso di pacificare le varie correnti assumendone la guida, forse deve aver sottovalutato l’impresa tant’è che da tempo va sbattendo ora contro gli uni, ora contro gli altri, in balia delle reciproche contrapposizioni. Da ultimo, la lite con D’Alema («Manchi di coraggio», «E tu sei divisivo, fai un passo di lato») che ha tutta l’aria di essere definitiva.

È una lotta di personalismi, anzi di personalità ipertrofiche, in cui tutti sono contro tutti come tante volte è capitato nella storia della sinistra italiana: in passato se ne è avvantaggiato Berlusconi, ora il destinatario del regalo potrebbe essere Luigi di Maio, fresco candidato premier del M5S. Paolo Gentiloni deve cercare di timonare la nave nonostante le liti in coperta: non si sa fino a quando riuscirà nell’impresa. Per il momento è costretto a farsi aiutare dai transfughi di Forza Italia, come è successo ieri a Palazzo Madama, e da tutti coloro che mettono sul mercato politico il loro aiuto pur di far andare avanti la legislatura sino alla scadenza naturale.

Il capitano della nave nei mesi ha però rivelato una notevole abilità, tanto che da tempo si parla di lui come del presidente del Consiglio ideale in una coalizione di larghe intese che si dovesse rendere indispensabile nella prossima legislatura. Se Renzi e Berlusconi dovessero stringere un accordo per sbarrare la porta di Palazzo Chigi di fronte ai Cinque Stelle, quasi certamente il premier designato sarebbe proprio Paolo Gentiloni che ha dimostrato sì decisionismo, ma anche duttilità ingentilita da un certo garbo. Non sarà un caso che nelle vene del giovane Paolo scorra il sangue di quel conte Gentiloni che, dopo Porta Pia, mise d’accordo cattolici fedeli a Pio IX e liberali di Giolitti. In sintesi: il count-down potrebbe riguardare il governo, ma non il suo presidente del Consiglio.

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