L'Editoriale
Mercoledì 23 Novembre 2016
Fotografia Istat
L’Italia crede in sè
Le famiglie italiane sono sempre più soddisfatte delle loro condizioni di vita rispetto allo scorso anno. Avete capito bene. Non è una «post-verità», come viene definita una notizia falsa che però piace alla gente, al punto da ritenerla vera (per il dizionario di Oxford «post-verità» è la parola del 2016). Si tratta di un dato vero, verissimo, certificato dall’Istat: per la prima volta dopo cinque anni migliorano le stime relative al giudizio delle famiglie sulla soddisfazione per le proprie condizioni di vita. Secondo l’Istituto di statistica italiano la quota di persone di 14 anni e più che esprimono un’alta soddisfazione per la propria esistenza passa nel complesso dal 35,1 per cento del 2015 al 41 per cento del 2016.
Rispetto al 2015, inoltre, migliora la percezione della situazione economica di famiglie e individui, mentre è stabile quella per gli aspetti relazionali con famiglia e amici, la salute e il tempo libero. Risulta in lieve aumento anche la soddisfazione degli occupati per il lavoro. Sono dati incoraggianti, perché mettono in risalto il (leggero) miglioramento di una classe media ampia e articolata (il «corpaccione» come lo chiamava il padre del Censis, Giuseppe De Rita, alla fine degli anni Novanta) che nell’ultimo decennio ha continuato a perdere colpi per via della crisi economica e finanziaria, con conseguenze gravi sul piano del lavoro, dei risparmi e del Welfare.
Sembrava un processo inarrestabile, una «decrescita infelice» per parafrasare l’economista francese Serge Latouche. Tante volte abbiamo scritto di un’Italia in declino e ripiegata su se stessa. E oggi invece l’Istat ci dice che qualcosa sta cambiando, che un certo miglioramento sta avvenendo tra le famiglie italiane, come un germoglio in mezzo alla neve dell’inverno. E il dato è ancora più sorprendente se pensiamo alle ansie generate dalla situazione internazionale, dai flussi migratori, dall’occupazione che continua a stare su due cifre (per non parlare di quella giovanile, quattro volte maggiore), dalle difficoltà legate alla moneta unica europea (con il dollaro che ha quasi raggiunto la parità con l’euro) e alle conseguenze sul piano delle esportazioni.
Invece l’Italia tiene, e addirittura un po’ migliora. Non per tutti, naturalmente, la maggioranza è sempre in difficoltà, ma qualcuno comincia a star meglio e chissà che tutto questo non faccia da volano al resto del Paese.
Questo non significa che per le famiglie sia tutto rose e fiori. Il problema in cima alle preoccupazioni, secondo l’indagine Istat, è quello legato al rischio criminalità (in aumento nelle regioni del Centro, in diminuzioni al Nord, ma sempre rilevante, come testimoniano i provvedimenti presi negli ultimi giorni sull’invio dei militari), seguito a breve distanza dall’inquinamento dell’aria, del traffico, delle difficoltà di parcheggio, della sporcizia e dell’inquinamento acustico.
Sempre secondo l’Istat gli italiani sono un popolo di diffidenti. Otto su dieci non si fidano del prossimo e pensano che «bisogna stare molto attenti» (al Sud diventano 9 su 10). Le donne sono più diffidenti degli uomini, con il 79,4 per cento che ha un atteggiamento di cautela rispetto al 76,7 per cento dei maschi. La diffidenza è maggiore, inoltre, tra gli anziani di 75 anni e oltre (supera l’80 per cento) e tra i 25-34enni (77,8 per cento). Alla domanda di valutare le probabilità che possa essere restituito un portafoglio smarrito se a ritrovarlo è un vicino di casa, un membro delle forze dell’ordine o un perfetto sconosciuto, solo il 12 per cento degli intervistati confida che il perfetto sconosciuto possa riportarlo al legittimo proprietario.
Riassumendo, l’Italia fotografata dall’Istat è un Paese ancora smarrito, impaurito, impoverito, che però non si rassegna e cerca di uscire timidamente da questa crisi, persistente come una febbre malarica, che dura dal 2008. Vuol dire che si può anche guarire, sempre che sopraggiungano le adeguate cure. Ed è già un gran risultato,di questi tempi.
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