Fine della battaglia
Lezione da Aleppo

Il Natale 2016 arriva portando una buona notizia: la fine della tragica e sanguinosa battaglia di Aleppo, iniziata il 19 luglio 2012 con l’attacco delle forze ribelli a quella che era la capitale del Nord del Paese, più popolosa della stessa Damasco. Una città con una storia straordinaria, una delle più antiche del mondo, diventata Patrimonio dell’umanità dell’Unesco nel 1986. La battaglia di Aleppo era decisiva per le sorti della guerra in Siria e quindi c’è da augurarsi che il 2017 ci consegni un Paese finalmente in grado di uscire dal lungo incubo in cui è precipitato da ben sei anni. Come raccontano i testimoni con grande commozione, le campane delle chiese hanno suonato a lungo per comunicare la fine della battaglia e le moschee hanno alzato il volume dei loro minareti.

La guerra siriana è stata un’impietosa dimostrazione dell’ipocrisia che oggi domina indisturbata la scena del mondo. Abbiamo ascoltato e visto tanti sussulti di indignazione, tendenzialmente indirizzati contro le forze governative di Assad, ma nessuno ha osato andare al cuore della questione: le guerre si combattono con le armi e le armi che hanno seminato morte in Siria in tutti questi anni certamente non erano prodotte in quel Paese. Nello specifico della battaglia di Aleppo da una parte c’erano le forze di «Jaish al fatah», una coalizione che riuniva una decina di fazioni jihadiste e ribelli sostenute dall’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia. «Jaish al fatah» disponeva di carri armati, veicoli di trasporto truppe e artiglieria, in gran parte sottratti all’esercito siriano, ma anche di missili anticarro e di altre armi di produzione statunitense, che fino ad allora paradossalmente erano state riservate alle forze che combattevano contro l’Isis.

Dall’altra parte è risaputo che, come ha documentato l’esperto americano Charles Lister, ad armare le forze governative erano soprattutto i russi. In sostanza in Siria si è combattuta una guerra per procura, che si è cercato di ammantare di qualche idealismo rabberciato (come ad esempio con la retorica delle Primavere arabe che aveva legittimato nel 2011 l’avvio della guerra siriana). Sotto la coperta dell’idealismo si nascondeva altro e sarà la storia a darci forse un quadro più completo di questi reali interessi in gioco. Quello che già sappiamo è che sotto la coperta si nascondeva certamente l’interesse di chi fabbricava quelle armi e ne ha alimentato un uso spregiudicato, ovviamente lontano dai luoghi di produzione.

L’unico che abbia smascherato l’ipocrisia in questi anni, senza nascondersi dietro le parole, è stato Papa Francesco. «Sempre rimane il dubbio se questa guerra di qua o di là è davvero una guerra o è una guerra commerciale per vendere queste armi, o è per incrementarne il commercio illegale?», aveva detto in Piazza San Pietro nel 2013. Parole che non avevano nulla di accademico, ma che chiamavano a precise responsabilità di un sistema economico e di potere che ha tenuto le redini di questa guerra. Questa è la drammatica lezione di Aleppo.

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