L'Editoriale
Martedì 24 Aprile 2018
Fico, ultima carta
poi governo tecnico
All’indomani delle elezioni regionali in Molise e ad una settimana da quelle in Friuli Venezia Giulia, Sergio Mattarella ha aperto la fase due di questo lunghissimo avvio di legislatura, ormai simile a quelli della Prima Repubblica. La fase due prevede che il presidente della Camera Roberto Fico, grillino ed ex (?) antagonista di Luigi Di Maio, provi a verificare se esistano le condizioni per un governo tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico. La domanda contiene la risposta: le condizioni non ci sono, e tutti lo sanno. Solo una mirabolante piroetta del Pd e della sua maggioranza renziana potrebbe portare ad una alleanza in cui i democratici dovrebbero fare la parte che toccò ad Alfano nei governi di centrosinistra: portatori d’acqua ad un partito che conta il doppio di loro.
I renziani hanno già cominciato il fuoco di fila: con i grillini mai, hanno ripetuto prime, seconde e terze file, e le parole di disponibilità al confronto spese dal reggente Martina sono apparse un gesto di buona educazione nei confronti di Fico e soprattutto di chi lo ha mandato ad esplorare.
In questo clima che si intorbida sempre più, però, i sospetti si moltiplicano: si ipotizzano cambi di strategia di un Renzi divorato dalla voglia di tornare in campo; si sussurra di congiure di pezzi di Pd che potrebbero «rompere» con la linea ufficiale per correre in soccorso di un governo grillino. Chissà. Tutto è possibile – compresa una seconda scissione del Pd – ma non probabile, almeno per ora.
Per aumentare le chance di questo tentativo, Luigi Di Maio ha comunque fatto il gesto di buona volontà: ha dichiarato chiuso il forno leghista («tempo scaduto») e ha dato il benservito a Salvini («non lo capisco»). Del resto era proprio il minimo richiesto da Martina: noi non ci sediamo neanche se voi continuate a trattare con Salvini. Di Maio ha lanciato il pallone-sonda per il Pd e Salvini si è infuriato e indirettamente se l’è presa anche col Quirinale. Sta di fatto che dopo la consultazione della Casellati la prospettiva di un governo tra l’intero centrodestra e il M5S si è rivelata impossibile, mentre l’intesa M5S-Lega (che pure c’era) non è maturata perché Salvini non ha rotto con Berlusconi che è proprio ciò che Di Maio rimprovera al capo leghista. Il quale di suo chiede più giorni.
Per fare che? Per aspettare che il suo candidato Fedriga vinca in Regione Friuli Venezia Giulia. Già, perché il risultato del voto molisano non ha certo aiutato un’intesa leghisti-grillini: il centrodestra si è imposto come prima coalizione locale battendo il M5S, ma la Lega ha deluso riportando solo la metà dei voti di Forza Italia mentre i grillini hanno perso sette-otto punti rispetto al trionfo delle politiche (erano certi di poter conquistare la prima regione per uno dei loro).
Adesso la domanda è: cosa farà Mattarella – assai contrariato per le lungaggini e le ambiguità dei partiti, soprattutto dei vincitori – quando anche l’esploratore Fico tornerà al Colle con la bisaccia vuota? La prospettiva più credibile è che ci si orienti verso un governo «tecnico» e di decantazione messo in piedi dal Quirinale.
È quel che vuole Berlusconi e che potrebbe rimettere in gioco il Pd. Ma non rientra nei piani né di Salvini né di Di Maio. Entrambi avranno dimostrato di non essere in condizione di dare un esito positivo alla loro affermazione elettorale e dovranno riguadagnare terreno. In questo il deludente voto molisano suona per loro come un campanellino d’allarme…
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