Festa per un lavoro
che sia più umano

Il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, ci sollecita ogni anno nella necessità di riportare la persona e il lavoro al centro dei grandi mutamenti i quali, con sorprendente celerità, pervadono trasversalmente le realtà della produzione di beni e di servizi. Di fatto assistiamo ad una nuova rivoluzione del lavoro che polarizza e frantuma il tessuto sociale. Alla pressante domanda di iperqualificazione professionale fa da contraltare lo schiacciamento verso il basso di un ventaglio di occupazioni che alimentano rivoli di un lavoro poco qualificato e ancora sfruttato. Il posto di lavoro che non è più un’istanza di dignità ma diventa un sorta di ricatto: prendere senza pretendere oppure avanti un altro.

Un tema che Papa Francesco tocca con insistenza auspicando un nuovo «umanesimo del lavoro», dove l’uomo, e non il profitto, sia al centro; dove l’economia serva l’uomo e non si serva dell’uomo, dove i tanti giovani che non lavorano sono i nuovi esclusi del nostro tempo, vengono privati della loro dignità, mentre la giustizia umana chiede l’accesso al lavoro per tutti.

«Il lavoro – ha detto Papa Bergoglio - non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti!».

Tenere conto della complessità che assume il lavoro diventa un compito primario della politica e in primo luogo della rappresentanza collettiva, per tutto quello che il lavoro assume in sé, come elemento fondante di piena realizzazione della persona e di effettiva cittadinanza.

Le tentazioni della politica sulla disintermediazione sociale, emerse in questi anni e ritornate oggi di attualità, ripropongono, nel superamento del ruolo associativo sindacale, una illusoria visione idilliaca nella parificazione tra lavoratori e imprese che non trova riscontro nella realtà. La politica non può voltarsi dall’altra parte disconoscendo alle forze di rappresentanza il ruolo di tessitura paziente di reti e di relazioni.

Un compito che va ben oltre la vocazione associativa ma è un valore fondamentale che riguarda tutti e che, in questo nostro tempo, appare sempre più provocato, nella solitudine delle semplificazioni mediatiche e dei rapporti individuali amplificati dalle nuove forme di comunità virtuale.

È il morbo pericoloso del populismo e del qualunquismo che vuole pervadere anche la realtà del lavoro con il rischio di conseguenze nefaste soprattutto per i lavoratori e le lavoratrici più deboli e fragili.

Quando l’approccio politico-ideologico prevale sul confronto tra le parti sociali e sulla contrattazione produce, inevitabilmente, risultati lontani dal merito e dalla concretezza dei contenuti. L’ultimo esempio in questo senso è quello relativo alla vicenda della cancellazione dei voucher. Con buona pace di tutti si ritornerà ad avere ancora un po’ più di sommerso e lavoro nero.

Per evitare tutto ciò, l’unico antidoto rimane un ritorno ad un protagonismo della rappresentanza diffuso e capillare, giocato nelle aziende e nel territorio, capace di interpretare e costruire, nel cambiamento, nuove e più avanzate forme di tutela.

La qualificazione del lavoro e una rinnovata spinta partecipativa saranno gli orizzonti futuri per dare piena dignità alla persona che lavora. Una questione fondamentale per il futuro del nostro Paese rimane l’occupazione giovanile. Aiutare le nuove generazioni è una questione vitale per evitare un impoverimento complessivo della collettività e un aumento delle disuguaglianze generazionali e sociali. Buon Primo Maggio.

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