Far west, Mattarella
argine alle derive

Sono otto, gravi episodi analoghi negli ultimi 45 giorni. Ieri nel Vicentino un operaio di origine capoverdiana, al lavoro su una pedana mobile, è stato ferito dal colpo di un’arma da fuoco di un uomo che ha sparato dal suo terrazzo, per poi spiegare ai carabinieri di aver sbagliato mira mentre tentava di prendere un piccione. Ancora ieri nel Casertano un richiedente asilo della Guinea è stato ferito al volto con una pistola ad aria compressa. Il 17 luglio scorso a Roma un ex dipendente del Senato «per provare l’arma» ha sparato dal suo balcone ferendo in modo grave una bambina rom di 13 mesi. Su questo fatto drammatico è intervenuto anche il presidente della Repubblica.

«L’Italia - ha detto Sergio Mattarella, incontrando la stampa al Quirinale per i tradizionali saluti estivi - non può somigliare a un far west dove un tale compra un fucile e spara dal balcone ferendo una bambina di un anno, rovinandone la salute e il futuro. Questa è barbarie e deve suscitare indignazione. L’Italia non diventerà, non può diventare, preda di quel che con grande efficacia descrive Manzoni nei Promessi sposi a proposito degli untori della peste: “Il buonsenso c’era ma stava nascosto per paura del senso comune” La Repubblica vive dell’esercizio della responsabilità di ciascun cittadino».

Questo non è un editoriale sui migranti vittime degli spari, ma su di noi, su quello che siamo e sulla deriva di una parte del Paese, che ha sdoganato sia la violenza fisica che quella verbale. Il capo dello Stato non fa sconti nemmeno ai media, dove tracimano «usi distorti e talvolta allarmanti» soprattutto sul web: «Vedo segni astiosi, toni da rissa, che rischiano di seminare nella società i bacilli della divisione, del pregiudizio, della partigianeria, dell’ostilità preconcetta che puntano a sottoporre i nostri concittadini a tensione continua. Sta a chi opera nelle istituzioni politiche - ma anche a chi opera nel giornalismo - non farsi contagiare da questo virus, ma contrastarlo, farne percepire, a tutti i cittadini, il grave danno che ne deriva per la convivenza e per ciascuno. Vi è il dovere di governare il linguaggio. Con il coraggio, se necessario, di contraddire opinioni diffuse». Il presidente della Repubblica chiede soprattutto il «coraggio» delle proprie idee, della propria testimonianza contro l’omologazione. Chiunque frequenti internet e i social sa bene a cosa si riferisce Mattarella. Perfino sulla morte di Sergio Marchionne ci sono state speculazioni e giudizi cinici, privi di quella pietà che il momento richiedeva. C’è chi si è spinto a non condividere il cordoglio perché il manager avrebbe rovinato l’Italia con le sue scelte. Giudizi in libertà, privi della minima competenza economica e conoscenza storica dell’azienda che Marchionne ha rimesso in piedi. Nei primi tre mesi del 2002, al picco della sua crisi, Fiat perdeva infatti circa 5 milioni di euro al giorno. Da anni non produceva modelli di successo e i suoi molteplici tentativi di creare alleanze internazionali e costruirsi spazi nei mercati stranieri erano falliti.

Ma tant’è. Anche sulla morte di Marchionne c’è chi è riuscito a ricorrere all’astio e ai «toni da rissa» denunciati da Mattarella. La crisi economica e la perdita dei posti di lavoro non giustificano sempre questa deriva: non tutti i disoccupati «seminano i bacilli della divisione» sul web ma spesso a farlo sono persone che hanno un lavoro e titoli di studio. Siamo semmai al culmine di una decadenza sociale e culturale, libertaria e vanitosa fino a giustificare l’ingiustificabile, anzi facendosene vanto perché produce parole col presunto coraggio di dire «la verità, le cose come stanno». Io ipertrofici, protagonisti di un far west che va curato, per riportare le parole negli argini del dibattito civile e democratico e censurare i gesti che non hanno alcuna giustificazione né legittimazione ma vanno solo condannati.

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