False narrazioni,
grande trappola

«Ci sono molti modi per rendere i giovani silenziosi e invisibili. Molti modi di anestetizzarli e addormentarli perché non facciano “rumore”, perché non si facciano domande e non si mettano in discussione. Ci sono molti modi di farli stare tranquilli perché non si coinvolgano e i loro sogni perdano quota e diventino fantasticherie rasoterra, meschine, tristi». Vale la pena di riportarla integralmente la frase di Francesco, ieri, Domenica delle Palme, inizio della Settimana Santa, che inchioda una riflessione cruciale sulla prima generazione che ha subìto l’effetto della rivoluzione digitale e che sta entrando nell’età adulta sballottata di qui e di là da molti, troppi profeti che amano invece le semplificazioni sicuri che i giovani di adesso e gli adulti di domani siano a disposizione delle proprie aberrazioni fino al punto di arruolarli in dottrine nefaste e violente per comunicare tutto il contrario della speranza e della sapienza.

Non è un caso che Bergoglio abbia voluto con questa riflessione iniziare il tempo in cui tutto dovrebbe essere messo in discussione dalla passione e morte di Gesù. Il Papa ha messo in guardia dall’utilizzo di uno sguardo sulla realtà parziale, superficiale, indifferente, solo interessato e sensibile alle esigenze dei poteri, compresi quelli che governano le connessioni e indirizzano stravolgendole con sapienza perversa le relazioni. Ha parlato di «intrighi» e di «calunnie», che portano a «condannare senza scrupoli» esattamente come fece la folla che gridava «Crocifiggilo» davanti a Pilato.

Da cosa muoveva quella richiesta di morte se non da una narrazione degli avvenimenti sbagliata e da un rapporto realtà-verità stravolto al punto di diventare una catastrofe? Bergoglio è preoccupato soprattutto per i giovani accompagnati dagli gnomi della comunicazione falsa e falsificata a percorrere strade dove tutto viene anestetizzato o ridicolizzato da emozioni e credenze. Il Papa non vuole che i giovani finiscano in questa trappola e ieri lo ha detto con chiarezza, e soprattutto con estremo realismo, preoccupato per un mondo che si sgretola lasciando dietro macerie di verità, di conoscenza, di solidarietà. Ha denunciato quello che ormai non è più solo un rischio e nemmeno un pericolo, ma è diventato pratica e cioè la fine del dovere etico di occuparsi di chi soffre per qualunque motivo. Ha denunciato l’ideologia del «salva te stesso» e ha spiegato qual è l’unico antidoto previsto: la misericordia.

Invece chi non comprende la misericordia cerca di sistemarsi di solito contro gli altri e di solito mette il silenzio a chi pone dubbi sulla onnipotenza personale e comunitaria. Nel racconto della Settimana Santa è ciò che hanno fatto tutti quelli che nella piazza di Gerusalemme si sono sentiti superiori e hanno chiesto la crocefissione. Gesù dava fastidio, irritava il potere, faceva arrabbiare chi si credeva giusto solo perché rispettava la legge e i precetti. Aveva predicato in giro per le città e le campagne della Palestina, aveva stupito e aveva sconvolto. Qualche volta, come tra i mercanti del Tempio, si era pure infuriato. Francesco fa esattamente lo stesso, riproponendo il racconto evangelico sul filo della storia e della attualità di oggi. La voce della folla a Gerusalemme è la stessa voce di quelli che oggi manipolano la realtà e organizzano il mito dell’intelligenza artificiale che sola ci aiuterebbe a rendere il mondo migliore, il mito del social che sbaraglia il sociale, l’effetto della post-verità che lascia dietro di sé detriti di democrazia, fiducia e perfino di libertà. L’unica necessità è «cavarsela», ha denunciato ieri il Papa, senza tanti scrupoli, anche truccando le carte.

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