Facebook crolla
il ruolo politico

Per capire il «lunedì nero» di Facebook, i cui azionisti sono stati vittime di un clamoroso tonfo, assistendo al crollo del 7,5 per cento a Wall Street, bisogna partire dalla società Cambridge Analytics. Nata nell’ambito dell’Università di Cambridge, è una società di consulenza che si occupa di «psicometria» trasformatasi a scopo di lucro. In pratica, misura i comportamenti degli esseri umani, i gusti e i disgusti, le tendenze, le intenzioni di voto, le reazioni e li vende a terzi per pianificare strategie di comunicazione. Il problema è che questa società utilizzava in maniera un po’ subdola un test della personalità che si allacciava a Facebook carpendone le informazioni dei suoi utenti.

Ma l’applicazione (battezzata «thisisyourdigitallife», questa è la tua vita digitale) – messa a punto dall’accademico russo-americano Aleksandr Kogan - era in realtà un collettore di dati digitali degli utenti del social network. I dati di 270 mila utenti che hanno usato l’applicazione passando da Facebook e le informazioni dei loro «amici» – in tutto 50 milioni di persone – sono stati utilizzati per creare pubblicità mirate on line allo scopo di promuovere la campagna elettorale di Donald Trump, nonchè la propaganda per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

I dati insomma, sono stati usati per influenzare le intenzioni di voto. Bastava mettere un «mi piace», postare una cosa nella bacheca di un amico e si cadeva nella Grande Rete di Cambridge Analytics. Facebook ha reagito con molta nettezza non solo oscurando Cambridge Analytics e negando l’accesso dei propri dati a questa società ma minacciando azioni legali. Ma questo non è bastato a scongiurare all’impero dei social di Mark Zuckerberg, cui Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto risposte, la débacle in borsa. Il parlamentare inglese Damian Collins, del partito conservatore, ha già chiesto a Zuckerberg di testimoniare in una commissione d’inchiesta della Camera dei Comuni. Ed è probabile che nei prossimi giorni il fondatore di uno dei social più popolari del mondo venga citato in altre sedi.

Non è la prima volta che su Facebook si scatena una bufera per il suo ruolo «politico». Più di una volta Zuckerberg ha annunciato di voler rimediare alla fuoriuscita di informazioni, al punto da meritarsi il soprannome di «Mr Fix», il «Signor Riparo». È un segno dei tempi, certo, di come i social abbiano ormai un ruolo cruciale persino in un’elezione così complessa come quella americana, ma è anche un segno inquietante, che getta una grave ombra sulla democrazia. Tecnicamente non si tratta nemmeno di un furto, visto che gli utenti sono liberi di condividere determinati dati. Ma questo ai mercati e a 50 milioni di persone non è piaciuto.

Pare che la società sia stata utilizzata anche da un partito italiano e questo ci porta a considerare che anche l’Italia non è certo esclusa da questi processi così orwelliani. Anche l’Europa vuol vederci chiaro. Secondo la commissaria alla Giustizia Vera Jourova, per la quale «da una prospettiva Ue, il cattivo uso per fini politici di dati personali appartenenti agli utenti di Facebook, se confermato, è inaccettabile».Un’ultima considerazione. Lo scandalo Cambridge Analytics è stato svelato dal «New York Times» e dall’«Observer», due cari «vecchi» organi di stampa, fondati secoli fa. Segno che l’autorevolezza e il lavoro d’indagine (tutto nasce dalle rivelazioni di una «gola profonda» come nel Watergate) sono ancora preziosi per smascherare le oscure trame del potere digitale. Una bella rivincita del caro vecchio ma autorevole buon giornalismo tradizionale, quello della old economy. E i mercati ne prendono atto.

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