Evasione fiscale
La lotta in comune

Italiani e fisco: un rapporto da sempre difficile. Naturalmente il fenomeno non riguarda soltanto il nostro Paese, ma noi abbiamo il non invidiabile privilegio di essere tra quelli nei quali l’evasione fiscale non soltanto è molto elevata, ma è fortemente tollerata da una parte non indifferente della pubblica opinione. Chi non ricorda un presidente del Consiglio che, nello scorso decennio, giustificava come pienamente legittimo evadere il fisco da parte di coloro che ritenevano la tassazione troppo onerosa.

L’evasore fiscale da molti è giudicato più un furbo che un disonesto. Più uno scaltro che un incivile. Incivile nel senso che viene meno ad uno dei «patti» fondamentali sui quali si reggono le società democratiche. Il prelievo fiscale – benché a tanti laudatori del liberismo estremo questo assunto fondamentale sembra sfuggire – è il presupposto (teorico e quantitativo) sul quale si regge la possibilità degli Stati di erogare servizi alla collettività. A coloro che non pagano le tasse nella misura dovuta si dovrebbe vietare, ad esempio, di percorrere in auto una strada pubblica, oppure dovrebbe essere sottratta la possibilità di recarsi in un pronto soccorso, perché non concorrono alla spesa pubblica necessaria alla gestione di servizi di utilità generale.

Altra cosa, ovviamente, è l’esigenza di una più equa ripartizione della tassazione. Ben a ragione da più parti si lamenta che essa colpisce troppo duramente alcune categorie, mentre non riesce ad evitare che altre eludano in misura massiccia il fisco. Non c’è stato (e non ci sarà) governo che non abbia posto ai primi posti l’esigenza di ridurre le tasse. Proclama tanto ovvio da diventare inutile se dalla retorica non si passa ai fatti. I quali consistono, banalmente, nel combattere con il massimo rigore l’evasione e l’elusione fiscale; nonché nel perseguire l’obiettivo senza tentennamenti e senza guardare in faccia a nessuno. Secondo le stime di Confindustria, l’evasione dell’Iva raggiunge il 33,6% del totale. A sua volta la Tax research di Londra rileva che l’Italia è il primo Paese in Europa per evasione fiscale complessiva con il 27%; dieci punti in più della media europea. Sotto questo profilo fa notizia il dato, emerso dalla recentissima analisi della Cgia di Mestre, che soltanto il 5% dei comuni italiani collabora con la Guardia di Finanza nella lotta all’evasione. Elemento sconcertante. Se soltanto si tiene conto che un gettito adeguato permetterebbe ad essi di poter disporre di maggiori risorse finanziarie.

Come scriveva mezzo secolo fa Carlo Arturo Jemolo, i cittadini giudicano le amministrazioni pubbliche dal modo nel quale esse si adoperano per gestire i servizi alla collettività. Sotto questo profilo il comune di Bergamo può, a giusta ragione, fregiarsi del merito di essere tra le non molte amministrazioni locali impegnate nel contrasto all’evasione fiscale. Compito che istituzionalmente spetta alla Guardia di Finanza, ma nel quale tutte le istituzioni pubbliche dovrebbero sentirsi coinvolte. In fondo, bastano due condizioni semplici: una precisa e determinata volontà politica, una corretta ed efficiente gestione amministrativa delle procedure necessarie a rendere operante l’obiettivo fissato. Nel caso specifico, la convenzione che il comune ha attivato con la Guardia di Finanza e che consiste, sostanzialmente, nel controllo incrociato dei dati fiscali in possesso delle due istituzioni. Ciò ha permesso di incrementare in misura significativa le risorse a disposizione del comune, il quale potrà utilizzarle per rendere migliori servizi. Quasi l’uovo di Colombo. A riprova ennesima che «l’odiata burocrazia» (nello specifico l‘ente comunale e il corpo militare) – indirizzata correttamente – risponde a dovere. E come di dovere, al servizio dei cittadini onesti.

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