L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 22 Maggio 2019
Europee, campagna
a suon di like e clic
Nessun eccesso di nostalgia per la vecchia, felpata e austera «Tribuna politica», la trasmissione che la Rai mandò in onda a partire dal 1961 e condotta da Jader Jacobelli. Intorno a un tavolo stavano i leader dei partiti e si confrontavano su contenuti e proposte, con il tempo contingentato. Sono passati più di 50 anni ma sembra un’era geologica fa. Siamo in un altro mondo: la campagna elettorale per le Europee di domenica prossima ha segnato il sorpasso dei social sugli altri mezzi di comunicazione.
Una tendenza che accomuna i 28 Paesi dell’Unione europea ma che dà all’Italia un primato: il numero dei post di propaganda su Facebook comparsi sugli account delle principali sette liste è doppio rispetto a quello del secondo Stato in classifica (il Portogallo) e addirittura triplo rispetto alla media degli altri. Il quadro emerge da uno studio di 100 ricercatori di 50 università del vecchio continente. Nel nostro Paese sono stati pubblicati 2.500 messaggi elettorali in 17 giorni (dal 28 aprile al 15 maggio), solo sui profili ufficiali. Il boom è riconducibile ai due partiti di governo: la Lega ha pubblicato da sola 1.399 messaggi elettorali (e non è censito il debordante profilo di Salvini...), seguita da 5 Stelle (382), Forza Italia (179), Pd (151), +Europa (98), Fratelli d’Italia (97) e Sinistra (40). Negli altri 27 Paesi dell’Ue invece i partiti più attivi sono all’82% i pro Unione.
La tendenza a un ricorso sempre più diffuso a Facebook era stata rilevata già alle Politiche del 4 marzo 2018. È un cambiamento sostanziale invece rispetto alle Europee del 2014, quando peraltro si registrò un tasso di astensione molto alto: andarono alle urne solo il 57% degli aventi diritto. L’incertezza del resto ha sempre accompagnato le elezioni per l’Europarlamento. Gli effetti dei social sull’assenteismo andranno verificati, tenendo anche conto che in questa tornata elettorale in molti Comuni le Europee sono abbinate alle Amministrative (169 solo nella Bergamasca). «Questa forma di comunicazione - dice il professor Edoardo Novelli, dell’Università Roma 3 e coordinatore della ricerca sulla campagna via social - più veloce e penetrante, non favorisce la discussione ed è sempre più riservata ad un pubblico di affezionati, iscritti a liste chiuse o a chat, che hanno già un’idea politica. Il web, in questo caso, restringe il confronto». Gli utenti hanno l’impressione di essere al centro dell’attenzione dicendo la loro, ma in realtà i messaggi dei partiti e dei leader politici sono unidirezionali: il commento dell’utente non riceve risposta e muore nel social. Inoltre i messaggi spesso comunicano ma non informano. Secondo la ricerca prevalgono quelli emozionali basati su slogan, rispetto a quelli razionali, legati a cifre e contenuti: l’Italia è al 5° posto per questa voce della ricerca. È una campagna nella quale i temi propri dell’Unione, rispetto al 2014, soccombono a quelli nazionali: nel nostro Paese solo un messaggio su cinque ha come orizzonte il vecchio continente e uno su tre veicola un’immagine positiva o molto positiva dell’Europa.
Tornando all’assenteismo, le categorie più esposte sono pensionati, casalinghe, operai e le donne più degli uomini. Il mezzo di comunicazione più utilizzato da questi settori sociali resta però la televisione, che in questi ultimi giorni di campagna elettorale trasmette messaggi «last minute» per attrarre gli indecisi.
Restrizione del confronto e prevalenza della comunicazione sull’informazione: la campagna su chi manderemo all’Europarlamento lascia una sensazione di impoverimento. Prevalgono nei tg e sui social le beghe interne al governo, nonostante il passaggio storico per il futuro dell’Unione. Come cambiarla per renderla più rispondente ai bisogni dei cittadini, soprattutto a quelli meno protetti dagli effetti della crisi economica? Uscire dagli slogan (come il trito «l’Europa delle banche e dei burocrati») ed entrare nel merito delle possibili risposte dovrebbe essere lo scopo di una campagna elettorale. E invece si resta sempre con addosso l’impressione di un’occasione persa.
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