Europa, se ci sei
batti un colpo

Dopo il ministro degli Esteri Moavero e il vice primo ministro Salvini, è toccato al premier Giuseppe Conte raggiungere Mosca per mostrare al più alto livello, negli incontri con il capo del governo Dmitrij Medvedev e con lo stesso Vladimir Putin, quella «costante disponibilità al dialogo» con la Russia che è un tratto caratteristico della diplomazia italiana. Non è il caso di ripercorrere la storia. Basta ricordare che fu Matteo Renzi, da capo del governo, il primo a sollevare dubbi sul rinnovo delle sanzioni decretate contro la Russia per l’annessione della Crimea e il sostegno all’indipendentismo del Donbass. Quell’atteggiamento critico non si è mai tradotto in vera azione. In sede europea le sanzioni sono sempre state rinnovate all’unanimità, anche con il presente governo che, seguendo forse una linea già accennata da Donald Trump, preferisce pensare a un ritorno della Russia nel G8.

O, per meglio dire, a un G7 con la partecipazione della Russia. Vedremo se da questa «disponibilità» uscirà prima o poi qualcosa di concreto. Certo è che un’idea bisognerà farsela venire, perché la situazione è ormai grottesca.

Bisogna partire da un punto fermo: le sanzioni economiche, usate spesso nel secondo dopoguerra, non hanno mai funzionato. Da Cuba all’Iran, dall’Iraq alla Siria, per citare solo i casi più eclatanti, hanno al massimo ottenuto l’effetto di far soffrire di più le popolazioni innocenti. Siamo quindi degli illusi se crediamo che il Cremlino cambierà politica perché l’Europa ogni sei mesi rinnova le sanzioni.

Nello stesso tempo, il velo delle sanzioni serve a nascondere l’ipocrisia dei diversi interessi nazionali. Secondo i dati di Confindustria Russia, nel 2017 l’Italia ha realizzato verso la Russia esportazioni per 9,9 miliardi di dollari ma poco meno ha fatto la Francia (9,2) e molto di più la Germania (23,9), che in accordo con la Russia sta anche costruendo il gasdotto North Stream due, quello da cui l’Italia si ritirò nel 2014 proprio per le pressioni Ue. Questo per citare solo i due Paesi che difendono con più tenacia il regime sanzionatorio.

L’aspetto più preoccupante, però, è un altro. Sempre nel 2017, la Cina ha realizzato in Russia esportazioni per 46,1 miliardi di dollari. Nel corso degli ultimi anni, invece, si sono ridotti gli scambi tra Russia ed Europa. Un paio di esempi. Nel 2012 la Russia mandava all’Europa il 54% delle proprie esportazioni di gas e petrolio, oggi siamo scesi al 45% mentre è cresciuta di più di 5 punti (dal 6,7 al 12%) la quota venduta in Cina. La quota di macchinari industriali esportata dalla Ue verso l’Unione economica euroasiatica (Russia, Armenia, Belorussia, Kirgizistan e Kazakhstan) è calata dal 42 al 33% del totale, mentre quella della Cina è cresciuta dal 23 al 43%. Insomma: avevamo un mercato privilegiato e l’abbiamo regalato ad altri.

Noi ci raccontiamo che l’abbiamo fatto per gli ucraini e per i principi affermati nel Memorandum di Budapest firmato nel 1994 alla conferenza dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la operazione in Europa) per garantire che non si sarebbe mai usata la forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan. Sappiamo bene, però, che a motivarci sono anche, se non soprattutto, le pressioni Usa che, favorendo il cambio di regime a Kiev nel 2014, hanno incentivato la loro pluridecennale politica di confinamento verso Est della Russia.

Agli Usa forse conviene «regalare» la Russia alla Cina e, soprattutto, tenerla il più possibile lontana dall’Europa. Ma a noi? Con l’America di Trump che prende l’Europa a schiaffoni, impone dazi e ci chiede di diventare un’unica gigantesca base Nato? L’Europa, se ci fosse, dovrebbe battere un colpo e, come invocava a suo tempo Nanni Moretti, dire «una cosa di sinistra». L’Italia, nell’attesa, suona il suo campanellino. Meglio di niente.

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