Europa sconfitta
se blocca le frontiere

Volevano dividere ed hanno ricompattato l’Occidente. La manifestazione di Parigi ne è la prova. Il terrorismo delle frange estremiste dell’islam si è infranto nella consapevolezza europea della propria identità civile. Questo nulla toglie al pericolo che altri atti eversivi compiuti in nome di Maometto sconvolgano la vita pacifica delle città europee. Ed è certamente questo il motivo principale che spinge Marine Le Pen a chiedere la chiusura delle frontiere.

Non è sola. Il presidente della Repubblica Ceca, Milos Zeman, chiede in un’intervista al quotidiano ceco «Denik» che gli immigrati vengano rispediti nei loro Paesi di origine: «Ognuno dovrebbe vivere nel suo Paese di origine… e non disturbare la normale vita in Paesi che hanno un’altra cultura». Il primo ministro ungherese Viktor Orbàn davanti agli ambasciatori che rappresentano l’Ungheria nel mondo definisce la politica europea in tema di migrazioni «ipocrita, menzognera e senza basi morali, perché la migrazione verso l’Europa per motivi economici non si riesce a gestire e quindi deve cessare».

A queste affermazioni, che trovano l’appoggio silenzioso di una buona parte della pubblica opinione europea, ha dato risposta indirettamente Angela Merkel: l’islam è parte integrante della Germania. Ha ripreso un’affermazione dell’ex presidente della Repubblica Christian Wulff, che nel 2011 ribadiva il concetto dell’appartenenza del mondo islamico alla Germania, in quanto entità multireligiosa e multirazziale.

Il governo tedesco deve gestire quattro milioni di immigrati di fede musulmana e non può permettersi il lusso di creare un terreno favorevole alla nascita dell’estremismo. L’obiettivo è il conseguimento di una piena integrazione perché la Germania ha bisogno di manodopera straniera, soprattutto qualificata, e non può certo sottilizzare sull’origine e sulla religione dei nuovi immigrati. È lo stesso problema che affligge la Francia, che ha aperto le porte agli stranieri provenienti dai territori d’oltremare senza porsi il problema della regolazione dei flussi ai fini di un inserimento non traumatico nel tessuto sociale di una società fortemente connotata in termini di laicismo, a volte esasperato. Tutto questo ha portato a reazioni di rigetto che demonizzano il fenomeno . La reazione della Francia è stata esemplare per compattezza, solidarietà e civiltà di espressione. Non dimentichiamo che in altre parti del mondo eventi simili si solennizzano a suon di Kalashnikov AK-47. Ma nel segreto dell’urna molti cittadini europei – nelle tornate elettorali del 2015 in Grecia, Gran Bretagna, Spagna – lasceranno il segno del loro risentimento.

Questo clima va a coincidere con la crisi europea e induce a ritenere che la sicurezza sia più garantita entro le frontiere dello Stato nazionale. I francesi stessi ritengono che i valori conclamati in place de la Republique siano la specificità nazionale che li distingue dagli altri popoli, e in un certo qual modo ne sancisce la loro superiorità civile e quindi anche politica. Il ministro degli Interni francese Bernard Cazeneuve ha proposto, in seguito alla strage di Charlie Hebdo, di «valutare possibili modifiche al sistema Schengen per lottare contro il terrorismo». Il problema è il passaggio nella zona di Bardonecchia di giovani di nazionalità francese verso la Siria. E si presume che i controlli italiani siano meno severi di quelli d’Oltrealpe.

La diffidenza reciproca è il male d’Europa, e se lasciassimo ai terroristi il privilegio di esacerbarle ulteriormente faremmo il loro gioco. La signora Merkel l’ha capito e ha sentenziato: il trattato di Schengen non è in discussione. Per quest’Europa fiacca a Berlino c’è un giudice.

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