L'Editoriale
Mercoledì 23 Maggio 2018
Economia, prove
col nuovo potere
Se davvero le recenti elezioni e la nuova maggioranza che ne è scaturita hanno messo in contrapposizione il sistema e l’antisistema, ebbene c’è subito un’occasione di confronto tra questi due mondi, con gli appuntamenti tradizionali di fine maggio dell’economia nazionale: l’Assemblea di Confindustria di oggi, e quella di Banca d’Italia della prossima settimana. I due summit dell’industria e della finanza sono oggettivamente la prima occasione per prendere posizione su temi fondamentali del nostro futuro, finora lasciati in mano alla faticosa interpretazione della politica, chiamata a trasformare due «non vittorie» tra loro contrapposte in una prospettiva comune detta del cambiamento.
Industria e finanza, evocati nell’agone politico come simboli di un potere da combattere se non abbattere, parleranno ciascuno con il proprio stile e probabilmente all’insegna della prudenza formale, ma alcuni nodi non potranno essere elusi. Vincenzo Boccia si è già speso senza reticenze, criticando il metodo stesso di partire dalle promesse di spesa miliardaria e indicare solo a posteriori il modello su cui puntare (che per i produttori non può certo essere la decrescita, anche quella eventualmente più felice) sottolineando che non si possono distribuire risorse senza averle prima prodotte. La posizione di Confindustria sull’euro, sui legami con l’Europa, sul sostegno dell’export e dunque sulla negazione di ogni protezionismo sono già state delle mani avanti rispetto a tentazioni di chiusura, imposizione di dazi, blocco della circolazione di merci e persone. L’associazione è schierata a favore di argomenti come jobs act, fine dell’articolo 18, industria 4.0, in piena sintonia con quei ceti del Nord che pure hanno bocciato il governo che li ha realizzati. Ma registra con autentico orrore chiusure sul tema delle infrastrutture, che sono vitali proprio in Piemonte, Lombardia e Veneto per la competitività dell’Italia che produce e va bene. Ed è facile immaginare cosa pensino gli industriali della fine ipotizzata del più grande impianto siderurgico d’Europa, magazzino sotto casa di metà della manifattura.
Bisognerà però vedere quale tono sceglierà il presidente degli industriali, vista la tradizione filogovernativa della sua associazione, riflesso a sua volta della cautela di una classe economica che non ama gli scontri e sembra sempre propensa al dialogo con il potere, vecchio o nuovo che sia. Paradossale che ad alzare il livello della protesta contro una deriva che giudica molto pericolosa per il Paese, sia se mai il ministro dell’Industria uscente Calenda, che chiede una mobilitazione che difficilmente ci sarà.
Il fatto è che Boccia ha a che fare con un momento difficile della sua organizzazione, che ha concluso con i sindacati un «patto per la fabbrica» basato non su assistenza ma su detassazioni, riduzioni del cuneo fiscale, aumento dei salari in cambio di produttività e contrattazione aziendale. Tutti argomenti poco presenti nei programmi della nuova politica. Ma soprattutto, Confindustria è sfidata al suo interno dal disimpegno delle grande industria (ultimo caso: Luxottica) che fa presagire un nuovo modello associativo più orientato ai piccoli. E per di più registra proprio in questi giorni il vulnus reputazionale dell’arresto di un suo alto esponente, già campione antimafia. Quanto a Visco, sarà certamente agevolato dal taglio molto forbito ed elevato con cui sono scritte le considerazioni finali di via Nazionale, ma potrà tacere, la vestale della moneta e della stabilità economica, di fronte alla messa in discussione dell’euro, e addirittura all’intenzione di non onorare il debito o di introdurre mini Bot, una sorta di moneta parallela? Potrà evitare accenni alla destabilizzazione di titoli bancari in Borsa, agli scossoni dello spread dopo la semplice esternazione di «intenzioni» ancora neppure decise? Anche Visco ha avuto i suoi problemi, e ha appena ricevuto attacchi parlamentari che avrebbero destabilizzato chiunque (se non avesse avuto la solidarietà di Mattarella e Gentiloni) e dunque potrebbe avere molti sassolini da togliere e scagliare. Non lo farà, perché non si può fare, ma anche perché sembra proprio che le priorità del Paese siano altre. E un passato tormentato è meno importante di un futuro a rischio.
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