Economia e elezioni
Coraggio e verità

Se, per un giorno, l’Istat ci racconta che sembra finita l’era dello zero virgola nella crescita del Prodotto lordo, non possiamo che esserne lieti. Dopo sette anni di vacche magre, è la prima volta che la variazione tendenziale supera di slancio la barriera dell’1 per cento, anno su anno. Naturalmente, ci sarebbero subito da aggiungere una serie di ma, a cominciare dal fatto che giusto ieri il governatore Visco ci ha ricordato che abbiamo recuperato solo 2 punti dei 9 persi per la crisi, mentre gli altri Paesi sono tutti già in terreno positivo.

E poi, il recupero viene da agricoltura e terziario, mentre l’industria fa ancora fatica. È comunque in questo quadro che si colloca la polemica politica sulle elezioni anticipate: sono un bene o un male per il consolidamento di questa piccola ripresa? Non rischiamo ancora una volta di farci male da soli?

Una risposta seria a questo interrogativo è molto complessa. Alcuni fatti sono oggettivi e riguardano le grandi questioni aperte, che certamente non traggono giovamento da una campagna elettorale, come le grandi crisi aziendali tipo Ilva e Alitalia, i cui problemi occupazionali non possono diventare materia da comizio, ma lo diventeranno se non chiuse prima. E poi c’è la questione banche, con la messa in sicurezza di quelle venete che nessun privato vuol aiutare (manca un miliardo) accanto agli aiuti pubblici già messi in campo, aiuti che non possono crescere senza aprire altre falle nel soccorso necessario a casi solo apparentemente minori.

Sullo sfondo, ci sono infine il rischio esercizio provvisorio e lo scatto automatico dell’aumento Iva dal 1° gennaio. Buttare cose così complesse dentro il tritacarne di una elezione in cui forze politiche importanti si giocano la sopravvivenza, fa venire i brividi. Può accadere di tutto.

Non dimentichiamo che a fine 2017 si chiuderà, in parte o in tutto, l’ombrello del Qe di Draghi. Gli unici veri risparmi che il bilancio italiano ha fatto in questi anni vengono dai tagli degli interessi derivanti dal duro intervento del governatore Bce. Quando questa vera e propria pacchia finirà, e finirà, verrà il difficile, ivi compresa le procedure di rimborso della ex liquidità facile, che non riguardano solo noi, ma saranno complesse. È pur vero che trascinare tutto questo fino all’anno prossimo, in un misto di scontro all’arma bianca, demagogia da talk show e provvedimenti emergenziali comunque da prendere, non sarà una passeggiata. Un progetto almeno minimo per mettere un cordone sanitario attorno alla ripresina è assolutamente necessario.

Una leader politica che ha fatto precipitare la data delle elezioni, la premier britannica May, se ne sta oggi pentendo, perché rischia un azzardo su cui è caduto Cameron e già si sa che non avrà comunque una maggioranza forte per gestire la Brexit.

E allora, per affrontare una fase tanto difficile, con un ruolo decisivo affidato al presidente Mattarella, a noi sembra che se davvero i tre grandi partiti vogliono le elezioni, la via maestra per affrontarle sia quella della verità, che non è una banalità, visto che in tutto il mondo hanno vinto le fake news.

E la verità si dovrà misurare soprattutto sul tema Europa. Quando Renzi dice «Europa si, ma non così» dice uno slogan in rima, ma è chiara l’intenzione di assorbire – e vellicare – una critica che ha girato sugli schermi troppe volte. Non si può scherzare con l’Europa senza Usa e l’euro, l’ultimo a dirlo con gravità è stato Vincenzo Visco, e prima di lui il presidente degli industriali Boccia. Ed è ora di smettere di definire burocratica un’Unione che fa burocrazia quando vi è costretta dalla politica. Il caso Macron dovrebbe aver insegnato che la fermezza paga. La signora Le Pen balbettava davanti a lui in tv proprio perché aveva di fronte un ragionamento, non uno slogan.

E lo stesso vale per molti altri argomenti: queste elezioni, se non vogliamo danneggiare l’economia, non possono essere quelle del furbesco inseguimento dell’estremismo parolaio. Se uno ti dice reddito di cittadinanza, devi dimostrare che è una assistenziale follia finanziaria, e quando Di Maio, come l’altra sera in tv, propone come copertura vaghezze come il taglio di consigli di amministrazione delle municipalizzate, spesso quasi gratuiti, raccontando che i tagli valgono 9 miliardi, si risponde con i numeri, non presentando gli amministratori come profittatori e poltronisti, secondo una vulgata che fa male alla democrazia.

Insomma, il problema non è quando fare le elezioni, ma come farle, in che clima, con quali argomenti reali al centro. Già c’è un’ipocrisia di fondo, quella delle alleanze che potranno nascere da una legge elettorale come quella che si delinea. Se poi, di nuovo come nel 2013, saranno all’inseguimento del populismo, si riveleranno solo un guaio. Mentre il coraggio della verità non potrà che far bene anche all’economia, perché lavoro, sviluppo, occupazione sono cose serie.

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