Economia decisiva
per il futuro di Renzi

Più crescono le difficoltà e più cala la popolarità del governo. Più lo scontento cresce nel Paese e più si infittisce e si incattivisce la schiera degli oppositori. Non per questo Renzi demorde. Anzi, lo spavaldo premier continua imperterrito per la sua strada, scommettendo sulla collaudata (e sino ad oggi producente) tattica del rilancio.

Il Pil si ferma? Nessuna paura: c’è in arrivo un miliardo di investimenti da parte di una società estera, Ryanair. Visto – twitta Matteo – che la politica degli alleggerimenti fiscali comincia a dare i suoi frutti? La produzione dà segni di rallentamento? Ci pensa il ministro Delrio. Semplificata la procedura degli appalti, provvede a sbloccare numerosi cantieri per svariati miliardi.

Tutto ciò serve, però, a poco. Per quanto si prodighi in annunci, provvedimenti, decreti-legge, Renzi sa che comunque il cerchio gli si sta stringendo attorno e che parimenti gli si sta stringendo anche il tempo a disposizione per scongiurare il peggio.

Passi per l’allarme terrorismo e per l’emergenza profughi/immigrati. Verranno tempi migliori. Ciò che può fare subito davvero la differenza tra lo sprofondamento dell’azione di governo nelle sabbie mobili dei tanti, piccoli e grandi, scontenti degli elettori e un suo vero rilancio è l’auspicata ripresa dell’economia. Il segretario dem sa benissimo, al pari di tutti i colleghi premier, cosa si dovrebbe fare, ma non sa, da un lato, come superare i divieti oppostigli da Bruxelles e, dall’altro, come riuscire a essere rieletto dopo aver fatto ciò che dovrebbe.

Con una crescita ferma mancano le risorse per il rilancio dell’economia. D’altra parte, con il blocco imposto dall’Ue sullo sforamento del 2% nel rapporto deficit/pil non è facile trovare i miliardi necessari ad abbassare il costo del lavoro al fine di far guadagnare produttività e competitività alle nostre imprese. Al contempo, con le mani legate in fatto di spesa, non è possibile accontentare pensionati e dipendenti statali (un consenso che, non va dimenticato, vale milioni di voti) senza intervenire con l’accetta sulla spesa pubblica; il che vuol dire far sanguinare proprio quello stesso pubblico impiego nonché quel ceto politico aggrappato alla greppia del parastato che non resterebbe certo a guardare nel vedersela sottrarre.

Insomma, la vera partita politica del governo si gioca nel Paese sul terreno economico. Ciò non toglie che tra i partiti il centro della contesa sia divenuta la riforma costituzionale: quella stessa riforma che, sappiamo, lascia indifferente l’opinione pubblica, ben più interessata al miglioramento della propria condizione economica.

Con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale lo scontro, non a caso, si sta arricchendo di nuovi attori, contenuti, argomenti. Non c’è soggetto sociale (dai sindacati a Confindustria, dalle Acli alla Coldiretti) che non si sia schierato. Persino autorevoli testate estere (dal Financial Times al Wall Street Journal, al New York Times) si mostrano preoccupate per le ripercussioni politiche del voto referendario italiano. Più degli italiani, gli stranieri temono che il passaggio elettorale riporti il Bel Paese nel vortice di una crisi di governabilità finendo per innescare, per contagio, una bufera nella stessa Ue, con i prevedibili effetti destabilizzanti per l’intero sistema finanziario mondiale.

Difficoltà dell’economia e contesa politica, all’inizio innestatesi separatamente, si riunirebbero allora, accavallandosi e reciprocamente aggravandosi.

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