Draghi chiede il dialogo ma resta un auspicio

Anche il 78° giorno di guerra si è consumato in Ucraina, e la prima considerazione è che nessuno poteva immaginare, il 24 febbraio scorso, quando partì l’invasione russa, che la guerra sarebbe durata così a lungo. Forse hanno contribuito a prolungarla le illusioni dei russi e il sostegno occidentale all’Ucraina. Resta il fatto che si continua a combattere, con gli ucraini che guadagnano terreno a Nord e ne perdono a Sud, e che non ci sono segnali non si dice di un accordo ma nemmeno di una tregua. Mario Draghi, dopo gli incontri alla Casa Bianca, ha detto che le parti devono sedersi intorno a un tavolo e parlare, e che Joe Biden deve riprendere i contatti con Vladimir Putin.

È un modo come un altro per riconoscere la vera natura di questa guerra che, come quelle in Georgia (2008), nel Donbass dopo il 2014, in Siria (dal 2015) e altrove incarna l’ennesimo capitolo dello scontro tra Russia e Usa, come sempre combattuto in casa d’altri. È difficile che l’auspicio di Draghi si realizzi, certo non nel breve periodo. Il Cremlino non risponde e non risponderà finché non potrà vantare un risultato (sempre ammesso che riesca a ottenerlo) che superi la situazione di partenza, quando già controllava la Crimea e il Donbass. L’Ucraina si sente appoggiata dall’Occidente intero, combatte bene, è inondata di armi e vede la Nato che si allarga. Potrebbe accettare una trattativa ma solo se i russi lasciassero il suolo ucraino, cosa al momento improbabile e, per quel che si diceva prima, forse impossibile.

A proposito di Nato. La Svezia chiederà l’adesione all’Alleanza Atlantica lunedì 16, la Finlandia seguirà a ruota. È comprensibile che i cittadini di questi due Paesi non si fidino più di una neutralità gestita con successo per decenni. Ma siamo sicuri che, oltre a essere la decisione giusta, sia anche la decisione migliore? Davvero ampliare il contatto diretto tra Nato e Russia con i 1.340 chilometri del confine finlandese, è la cosa più saggia da fare in questo momento? L’ex premier ed ex Presidente russo Dmitrij Medvedev, che da liberal si è fatto falco, ha commentato che la mossa «aumenta la probabilità di un conflitto aperto e diretto tra Nato e Russia, invece di una guerra per procura».

Lui lo dice in tono minaccioso ma in assoluto è solo la verità. Tanto più che uno «scudo», anche temporaneo in attesa che la situazione si calmasse e l’adesione alla Nato (cui peraltro sia Svezia sia Finlandia sono legati da anni da una partnership privilegiata) diventasse più «normale», per i Paesi nordici poteva essere concepito anche in altro modo, come il patto di «garanzia reciproca» siglato tra Stoccolma e Helsinki e Londra nei giorni scorsi dimostra con chiarezza.

D’altra parte non è di oggi e nemmeno di ieri lo scatto che questa guerra terribile ha fatto, passando dalla condizione di aggressione russa e mobilitazione occidentale per difendere l’Ucraina a occasione inattesa per infliggere alla Russia una sconfitta (militare ma soprattutto politica) epocale e forse definitiva.

Oltre agli Usa, a menare le danze in Europa sono ora Polonia e Regno Unito. Francia e Germania, i Paesi che fino a pochi mesi fa erano (e ancor più ambivano a essere) la spina dorsale della Ue, nella questione ucraina sono ridotti a comprimari. Il cancelliere Scholz è una figura pallida, si capisce che non è d’accordo ma che non osa opporsi, e il vero capo del Governo tedesco a tratti sembra essere Annalena Baerbock, l’assai più combattiva ministra degli Esteri. Emmanuel Macron ci prova in ogni modo, anche passando per la Cina di Xi Jinping, ma i risultati sono modesti. È forse l’unico leader occidentale a farsi ancora ascoltare da Putin, ma molto oltre non va.

Intanto la Russia va per la sua strada con uno stato d’animo diviso, fin qui poco raccontato. Lo spirito patriottico resiste e tutti i sondaggi, anche depurati dall’effetto della propaganda di Stato e dell’intimidazione delle leggi speciali, confermano che le decisioni di Putin e la «missione militare speciale» in Ucraina godono tuttora di un non secondario consenso. Nello stesso tempo, con cadenza quotidiana, si levano gli allarmi degli economisti, dei professionisti e dei rappresentanti di categoria, preoccupati per il degrado progressivo della situazione economica. Un’indagine rivela che l’80% dei russi ha cominciato a risparmiare sui principali capitoli della spesa familiare. Quale dei due stati d’animo finirà col prevalere?

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