L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 15 Settembre 2018
Dopo Lehman
mondo ineguale
Dieci anni dopo la caduta di Lehman Brothers il mondo è più ineguale. La più grande e pesante conseguenza della crisi conclamatasi con il fallimento di una delle (allora) più prestigiose istituzioni finanziarie è l’acutizzarsi dei divari nella società e nel pianeta. L’America nel suo insieme ha recuperato il livello di ricchezza precedente, ma a danno delle classi media e bassa. L’Europa è tornata al benessere del 2007 ma la differenza, per esempio, fra Germania e Grecia è molto più ampia. Anche l’Italia ha aggravato il distacco dai Paesi più floridi dell’Unione. Si noti, per inciso, che la divaricazione delle condizioni fra le persone alimenta forme di populismo e di sovranismo.
Nell’insieme il nostro Pil pro-capite è quasi al livello pre-crisi (–4%) e così l’occupazione, ma alla produzione industriale manca ancora un buon 20%. Se andiamo più a fondo ci rendiamo conto che lo tsunami ha lasciato tracce molto differenti fra i comparti economici e attraverso le aree territoriali. Oggi il Nord Est viaggia forte (il Pil supera del 5% quello del 2007) ma il Centro è fermo (Pil –2% sui dieci anni); la meccanica di precisione e la robotica corrono mentre l’edilizia è ancora quasi ferma; la disoccupazione colpisce molto di più nel Meridione (lavora solo il 45% della popolazione attiva) e le fasce estreme del ciclo lavorativo, i giovani e gli ultra cinquantenni.
Perché è accaduta questa spaccatura? Intanto, tutti i cambiamenti profondi, gli effetti sono molto differenziati, fra chi sa e può reagire e chi invece non riesce ad adattarsi. E poi quella che chiamiamo, per semplicità, crisi finanziaria non fu altro che la manifestazione di una crisi economica di ben più vasta portata. La finanza, con i suoi errori ed eccessi, fu lo strumento per l’accumulo di fattori scatenanti e il veicolo di diffusione della crisi. Il punto vero è che politiche economiche e monetarie sbagliate, attuate le prime soprattutto in America e le seconde soprattutto in Europa, avevano generato un illusorio livello di benessere nel mondo occidentale, non sostenuto da una corrispondente costruzione di ricchezza. I finanziamenti troppo facili concessi dalle banche, soprattutto nel comparto immobiliare degli Stati Uniti, consentivano alle famiglie di mantenere un tenore di vita ingiustificato, consumando prodotti realizzati nei Paesi emergenti e comperati con un rapporto di cambio della moneta sopravvalutato. I fallimenti bancari hanno portato a evidenza gli squilibri che si cumulavano da anni e, ovviamente, li hanno fatti cessare. Ma anche General Motors e Chrysler, che non sono banche, erano sull’orlo del collasso.
Oggi ci domandiamo se abbiamo imparato la lezione e siamo pronti a evitare la ricaduta. Così così. Il sistema finanziario è stato profondamente riformato e irrobustito, con risorse in parte pubbliche (soprattutto in Usa) e private (soprattutto in Italia); abbiamo messo sotto controllo i derivati e rivisto la disciplina dei mercati azionari e obbligazionari; la politica monetaria è diventata prontamente accomodante. Ma non siamo esenti da rischi. L’eccesso di liquidità e i tassi di interesse negativi possono alimentare una potenziale nuova bolla speculativa e il debito pubblico, non solo italiano, è esploso, anche per proteggere i risparmiatori dai fallimenti bancari. Come governeremo questi pericoli? Potranno le ricette sperimentate negli ultimi decenni proteggerci da una nuova caduta? Non lo sapremo finché il nuovo fantasma non si materializzerà. E forse apparirà sotto spoglie diverse da quelle di ieri. Starà all’intelligenza dei responsabili delle istituzioni politiche e finanziarie individuare le risposte più appropriate, fra quelle usate nel passato e quelle che si dovranno approntare per fronteggiare la nuova situazione.
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