L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 31 Ottobre 2016
Domani all’alba...
Il cuore il cielo
Victor Hugo è il più grande scrittore francese dell’ Ottocento. L’ autore dei Miserabili era così famoso che ai suoi funerali le strade di Parigi furono invase da due milioni di persone in lutto. Molti, ormai, lo credevano immortale. Amava la famiglia più di ogni altra cosa al mondo, anche se la amava a modo suo, e il suo non era un modo dei più ortodossi. Il primo figlio, Léopold, morì pochi mesi dopo il parto. Disperati, il poeta e la moglie accolsero la nascita della secondogenita come un miracolo.
Léopoldine era la consolazione, il riparo dal dolore. Intelligente, bella. Il padre la proteggeva da tutto e da tutti. Adolescente, dialogava a cena con gli amici dei genitori, e gli amici dei genitori si chiamavano Balzac, Gautier, Franz Liszt. A 15 anni la ragazza conosce Charles Vacquerie e se ne innamora perdutamente. Quando chiede il permesso di sposarsi e andare a vivere in Normandia, il padre, gelosissimo, cede a malincuore.
Un giorno, un brutto giorno, Léopoldine decide di accompagnare il marito dal notaio. In barca. Una piccola barca. La corrente della Senna è forte, il tempo cattivo, la barca si capovolge e nessuno sa nuotare. Léopoldine è la prima ad andare a fondo, la leggenda dice che il marito abbia preferito annegare piuttosto che vivere senza di lei.
Appena saputa la notizia, tutti cercano di avvertire Victor Hugo, ma è impossibile. Lo scrittore è in viaggio, sta tornando dalla Spagna insieme all’ amante. La mattina dopo, mentre sta facendo colazione in un caffè di provincia, apre un giornale posato sul bancone. L’ articolo parla della morte di sua figlia: aveva solo diciannove anni.
Quel giorno, lui, l’ immortale di Francia, si sentì strappare la felicità dalla carne come si potrebbe strappare un bambino dalle fiamme. Per un anno non riesce più a scrivere. Nulla. E quando riesce a scrivere, non pubblica. Nel 1856, cioè 13 anni dopo, dà alle stampe una delle più belle poesie che siano mai state scritte. Non ha titolo, tutti la conoscono per le primissime parole: «Domani, all’ alba...»: è cortissima, tre strofe, un pugno di versi.
Non è una poesia, è una lettera d’ amore.
«Domani, all’ alba, quando i campi imbiancano, partirò. Vedi? Lo so che mi aspetti. Andrò per la foresta, andrò per la montagna, non posso più stare a lungo lontano da te». È un innamorato che vuole raggiungere la donna che ama. Il viaggio inizia all’ alba e finirà al tramonto. Ma Victor Hugo non dice tramonto, dice «l’ oro della sera». E quando finalmente arriva al paese dove era diretto non ci parla delle case e delle strade, ma delle vele che in lontananza fanno rientro in porto.
È una lettera d’ amore piena di vuoti e silenzi.
Fino al penultimo verso quando, improvviso, come una ghigliottina, cala il nome del paese. Harfleur.
La cittadina normanna sulle rive della Senna dove la figlia è annegata. «E quando sarò arrivato a Harfleur, metterò sulla tua tomba un mazzo di agrifoglio verde e di erica fiorita». Solo al penultimo verso si scopre l’ identità di lui (è il padre), di lei (sua figlia) e la condizione di lei (è morta). L’ appuntamento non era con l’ amore, ma con la morte.
Il porto che attendeva il poeta è il marmo freddo e gelido di una tomba. Realismo raggelato che finisce per diventare insieme terribile e struggente perché non si tratta di finzione, è carne viva. Davvero Victor Hugo ha impiegato anni per trovare il coraggio di recarsi sulla tomba della figlia. E nel silenzio del cimitero, riuscire a comporre le voci della memoria con le domande dell’ anima.
In italiano si perde una finezza dell’ originale francese. Con magnifico gesto espressionista, il poeta posa sul marmo (bianco) un mazzo di agrifoglio verde (houx vert). Ma «houx vert» si pronuncia come «ouvert», il participio passato del verbo aprire. Questi fiori modesti, sempreverdi, che lui evidentemente ha raccolto nel bosco durante il viaggio, sono un’ apertura sulla vita, una passerella tra la terra e il cielo.
Il monaco benedettino Anselm Grün immagina la morte come il guado di un fiume. Cammino su un sentiero che attraversa un prato e devo poi attraversare un corso d’ acqua. Per poter saltare meglio getto prima dall’ altra parte il mio zaino. I morti, con i quali ho condiviso la mia vita, hanno già portato con sé il mio zaino oltre la soglia della morte. I defunti mi aspettano sull’ altra riva con ciò che di mio hanno già portato al di là di quella soglia, nell’ aldilà.
«Domani, all’ alba, partirò. Vedi, lo so che mi aspetti». Nella misteriosa matematica dell’ anima il cuore dell’ innamorato sa, prima e meglio del cervello, di essere atteso. Anche noi andiamo al cimitero perché sappiamo che qualcuno, al cimitero, ci sta aspettando. Contro ogni logica, ogni regola, ogni legge elementare. Ci aspetta.
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