L'Editoriale
Giovedì 14 Febbraio 2019
Distribuire ricchezza
Lezione dagli Usa
Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, in moltissimi sostennero la definitiva vittoria del capitalismo sul comunismo, essendosi dimostrato quest’ultimo, alla prova dei fatti, incapace di creare ricchezza e, soprattutto, di ridistribuirla efficacemente generando un effettivo valore sociale. Non pochi, però, pur riconoscendo l’insostituibilità del capitalismo nella guida dell’economia mondiale, ipotizzarono un suo possibile graduale declino se, oramai libero da contraltari ideologici di rimando marxista, non si fosse adoperato anch’esso per mitigare la propria protervia individualista, trovando inedite vie di politica economica in grado di meglio distribuire parte della ricchezza prodotta.
Il tema è oggi avvertito come assolutamente primario e degno di approfondite analisi da parte di alcuni grandi esponenti del mondo economico statunitense i quali, in presenza di tendenze indiscriminate al profitto, con conseguenti gravi ripercussioni anche sul piano sociale e politico, si sono fatti promotori di consistenti interventi di redistribuzione della ricchezza. Il primo ha inaspettatamente visto protagonista il mondo della Borsa, ben noto per l’esaltazione del profitto ad ogni costo, compreso quello di natura speculativa. Persino Lerry Fink, numero uno di BlackRock - il più grande asset manager del mondo, con oltre 6 mila miliardi di patrimonio gestito - ha dichiarato che «vista l’incapacità della politica di correggere gli squilibri sociali ed ambientali e di altro tipo prodotti dal moderno turbocapitalismo, tocca a chi gestisce questa ricchezza cercare di farlo in modo più etico e responsabile».
Fink ha addirittura rivolto una circostanziata lettera ai più importanti Ceo statunitensi, contenente il seguente invito: «Promoviamo l’adozione di prassi aziendali che nel lungo periodo contribuiranno a realizzare obiettivi di crescita e redditività sostenibili. L’impegno verso un approccio lungimirante appare più importante che mai in uno scenario mondiale sempre più fragile e esposto alle scelte di aziende e governi di breve termine.
La società destabilizzata da cambiamenti economici e dall’incapacità dei governi di fornire soluzioni durature, si rivolge sempre più alle aziende per affrontare pressanti questioni sociali ed economiche…Il mondo ha bisogno della vostra leadership; dovete pensare al vostro ruolo sociale e un po’ meno agli utili».
Un appello, il suo, che com’era prevedibile ha ricevuto non poche critiche dai leader di Wall Street. Ha riscosso, però, ampio consenso tra le nuove generazioni e nell’ambito di molte grandi imprese. Lo testimoniano gli importanti interventi in ambito sociale che hanno visto protagonisti esponenti di primo piano del mondo economico come Bill Gates o il colosso Amazon e anche Marc Benioff, grande imprenditore del ramo software. Bill Gates ha stanziato mezzo miliardo di dollari per arginare la crisi del mercato immobiliare che aveva colpito Seattle, sua città natale, finanziando la costruzione di immobili dal prezzo più accessibile. Amazon si è opposta con successo all’introduzione di una tassa sulle grandi imprese locali per finanziare l’assistenza ai senzatetto e la costruzione di case popolari. Un intervento simile è stato operato da Marc Beniof nella Silicon-Valley per finanziare l’acquisto di alloggi riservati ai più indigenti. Sospinti da tali autorevoli esempi imprenditoriali, interventi di vario tipo a sostegno delle classi più bisognose, posti in essere da parte di grandi società statunitensi, si stanno estendendo in tutto il Paese. La speranza ora è che proprio dalla patria del libero mercato e dell’individualismo più sfrenato, parta un’organica, quanto mai necessaria, autoriforma capitalista.
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