L'Editoriale
Venerdì 19 Agosto 2016
Dibattito sulla cannabis,
l’errore di Cantone
Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione è sceso in campo ieri a favore di una legalizzazione «intelligente» della cannabis. Il punto di vista di Cantone è certamente molto autorevole e anche il modo in cui si è inserito nel dibattito sollevato dal disegno di legge, che ha appena iniziato il suo iter alla Camera e che costituirà uno dei punti caldi dell’agenda autunnale, è un modo molto pacato e per nulla ideologico.
Quindi le parole di Cantone vanno pesate e prese molto sul serio. Il magistrato del resto si era sempre detto contrario alla legalizzazione per gli stessi motivi che spingono quasi tutti gli operatori impegnati nel recupero delle vittime di tossicodipendenza ad essere contrari: la cannabis legittimata culturalmente come innocua in realtà, alla prova dei fatti, in troppi casi, è un’anticamera all’uso di droghe pesanti. Cantone non rivede questo suo giudizio ma interviene su un altro punto: la legalizzazione può «evitare il danno peggiore per i ragazzi, cioè entrare in contatto con ambienti della criminalità organizzata». Poi Cantone ha aggiunto un altro elemento per spiegare il suo punto di vista. «Droghe leggere controllate - ha detto - probabilmente evitano interventi chimici che stanno portando anche alla tendenza all’assuefazione o al vizio. Questi due argomenti oggi mi fanno essere aperto su questa proposta di legge».
Come si vede il ragionamento del magistrato è un ragionamento moralmente alto perché parte non da un presunto principio di libertà, ma cerca di considerare quale sia il minor danno per i ragazzi, vero anello debole di questo sistema che fa sempre prevalere gli interessi economici e quelli ideologici. Sulla questione le posizioni sono naturalmente varie. E proprio ieri ha preso la parola anche un altro magistrato in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata e alla mafia, per smentire la valutazione fatta da Cantone. Secondo Nicola Gratteri, procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, «il guadagno che si sottrarrebbe alle mafie è quasi ridicolo rispetto a quanto la criminalità trae dal traffico di cocaina e eroina. In compenso spesso la marijuana è il primo passaggio per arrivare poi all’assunzione di droghe pesanti». Perciò ha concluso Gratteri: «Uno Stato democratico non può permettersi il lusso di legalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini».
Il punto è proprio questo sollevato da Gratteri. Un punto sempre sottolineato da chi vede e vive da vicino le conseguenze dell’uso delle droghe. Infatti le opinioni anche più autorevoli dettate dalle migliori intenzioni si scontrano con il piano della realtà. Una realtà che come documenta una recentissima ricerca del Siapad lombardo (il Sistema integrato analisi prevenzione abusi e dipendenze) vede crescere sempre più i consumi di droghe leggere e con un abbassamento davvero inquietante dell’età. Nel 2014, anno dell’ultima rilevazione, l’8% degli studenti di 11 anni ha dichiarato di aver fatto uso di cannabis ma nella fascia d’età dei 15 anni la percentuale sale al 26,6%. Il dato evidenzia come l’età critica in cui i ragazzi cominciano a fumare cannabis sia tra i 13 e i 15 anni, ossia nel momento di passaggio tra la scuola secondaria di l e di il grado. Numeri che evidentemente fanno impressione. E che richiedono davvero più senso di responsabilità nell’affrontare il tema della cannabis. Proprio partendo dalla priorità giustamente indicata da Cantone, cioè l’interesse dei più giovani, resta difficile nascondere le conseguenze che una legittimazione culturale, prima ancora dell’annunciata legalizzazione, hanno già provocato. I più giovani sono stati lasciati in balia di mode irresponsabilmente vendute come innocue. Questa è la realtà davanti alla quale misurarsi.
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