L'Editoriale
Mercoledì 29 Marzo 2017
Di fronte ai migranti
l’Europa sbanda
A poco più di 48 ore dalla celebrazione solenne dei 60 anni dei Trattati della Comunità europea e della firma congiunta – tra grandi dichiarazioni di intenti - dei 27 Stati membri della Dichiarazione di Roma, ecco che Austria e Ungheria l’hanno già fatta diventare carta straccia. Il cancelliere austriaco Christian Kern ha infatti dichiarato che intende interpellare Bruxelles per chiedere «comprensione» per l’intenzione di disapplicare il piano di ricollocamento dei migranti.
Il piano di redistribuzione nei Paesi Ue di 160 mila richiedenti asilo giunti in Italia e in Grecia dalla Siria dal settembre 2015 prevede che Vienna, che ne ha già accolti circa 70 mila nel 2015 e nel 2016, accolga duemila persone (1491 dalla Grecia e il resto dall’Italia). Ma Kern ha spiegato che l’Austria nel 2017 ha già accolto quasi lo stesso numero di migranti, giunti illegalmente nel Paese (chissà come ha fatto a calcolarli). «Credo che abbia già accolto un numero di immigrati sufficiente», ha detto il cancelliere socialdemocratico.
Dunque se fossero veri i numeri offerti da Kern (ma ne dubitiamo) stiamo parlando di 4 mila richiedenti asilo in più, in un Paese che ha otto milioni e mezzi di abitanti. La Germania ospita 300 mila rifugiati e l’Italia circa 100 mila. Non parliamo poi dei Paesi extraeuropei. A parte la Turchia, che ospita due milioni e 700 mila profughi (con il concorso finanziario dell’Unione europea) in Libano ci sono un milione di siriani ospitati diffusamente in tutto il Paese, che ha quattro milioni di abitanti. Il rapporto è di un profugo ogni quattro abitanti. Per giunta la Commissione europea ritiene che l’Austria bari con i numeri e abbia accolto molti meno profughi di quel che asserisce.
Naturalmente la risposta dell’Unione europea non si è fatta attendere. «Nessun Paese può ritirarsi unilateralmente dal piano europeo di ricollocamenti, che è legalmente vincolante». Se gli austriaci lo facessero sarebbero fuori dalla legge e questo sarebbe profondamente deplorevole e non senza conseguenze», ha affermato la portavoce della Commissione europea per le Migrazioni Natasha Bertaud.
C’è poi l’altra metà del vecchio impero austroungarico (che per inciso conteneva al suo interno dodici, dicasi dodici, etnie nazionali), la cara vecchia Ungheria, che è arrivata ad accusare noi italiani di pressioni per riallocare i profughi. L’Ungheria, che ha già alzato un muro al confine come quello che vuole alzare Trump in Messico, ha detto di essere pronta a iniziare a chiudere i richiedenti asilo in campi al suo confine meridionale con la Serbia, dopo che il 7 marzo il Parlamento ha approvato una legge che prevede la sistematica detenzione per tutti i richiedenti asilo in campi composti da container.
La decisione è parte delle politiche per disincentivare i profughi da parte del governo di destra di Viktor Orban. Come se i profughi avessero qualche scelta di fronte ai bombardamenti delle loro case. «Le agenzie di protezione dei confini sono pienamente preparate per l’entrata in vigore della chiusura rafforzata dei confini il 28 marzo», ha riferito il ministero dell’Interno ungherese. «La polizia, le forze di difesa e l’Ufficio immigrazione e asilo hanno fatto i necessari preparativi per la messa in pratica delle misure richieste». I preparativi sono la costruzioni di campi di concentramento nel senso classico del termine.
Il ministero ha spiegato che «lo scopo delle restrizioni è quello di impedire che migranti con uno status non chiaro si muovano liberamente nel territorio del Paese e dell’Unione europea e di ridurre i rischi alla sicurezza connessi alla migrazione». E così 324 container, in pratica prigioni portatili, sono stati installati in due siti definiti «zone di transito» entro la barriera eletta lungo il confine recintato per 175 km. E il paradosso è che si tratta persino un passo avanti se si pensa che l’Ungheria sbatteva in galera sistematicamente i richiedenti asilo in arrivo ed era stata costretta a sospendere la pratica nel 2013 dopo le pressioni indignate di Bruxelles, dell’agenzia per i rifugiati Onu e della Corte europea per i diritti umani.
Altro che «una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, che rispetti le norme internazionali e gli obblighi di accoglienza dei rifugiati», come si legge nella Dichiarazione di Roma di domenica scorsa. Se questi sono i primi effetti del documento, non ci resta che piangere lacrime.
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