L'Editoriale
Martedì 30 Settembre 2014
Diego Della Valle
e le scarpe d’Italia
L’ultima che aveva detto, con l’aria di uno che sa scrutare la politica internazionale (i due stavano in America), era stata: «Renzi e Marchionne sono due sòle». Noi del Nord diremmo due chiaviche, ma il senso è lo stesso. Prima aveva spiegato che «Renzi è in tilt», e tempo addietro che Nanni Bazoli, il patron di Banca Intesa che gli aveva fatto lo sgambetto sulla porta d’ingresso del Corriere della Sera, il salotto buono per eccellenza, era nient’altro che un «arzillo vecchietto». A Jaki Elkann era andata anche peggio, si prese direttamente dell’«imbecille».
Quando c’è da attaccar briga mediatica Diego Della Valle non è secondo a nessuno, e in questo la politica ce l’ha nel sangue. Quanto invece alla nobile «arte di farsi dare ragione», che è l’essenza della politica, un po’ meno. Di solito alle sue male parole gli altri rispondono a porte in faccia: da Bazoli a Marchionne a Matteo Renzi. Ma quando c’è da spararla grossa, il Signore delle Tod’s ha pochi rivali. Così adesso, davanti al baratro della crisi economica e politica che ci minaccia sempre più da vicino, Diego Della Valle l’ha detta grossa davvero: scendo in politica pure io.
Bum. O meglio, non è che proprio l’ha detta: l’uomo quando è ora di passare al dunque spesso tentenna. Però l’ha fatto capire: lui esterna a tutto spiano contro l’incapacità del governo e i poteri smorti che lo attorniano, e gli amici del suo inner circle sussurrano ai giornalisti che sì, il partito non c’è ancora ma la squadra, imprenditori e gente del «fare», sta giù allenandosi a bordo campo.
Che cosa c’è di vero in questi rumors? Difficile a dirsi, tocca aspettare. Ma una cosa è certa e già si sa: se anche fosse vera, la notizia sarebbe poco importante. Diego Della Valle è un grande e abile imprenditore della moda e del lusso. Un po’ over-dressed, come dicono gli inglesi, con tutte quelle sciarpone di cachemire e le pochette nel taschino e i polsini lunghi due metri. Ha una squadra di calcio, ma a differenza del Milan di Sacchi, non vince mai. Rivoluzioni liberali e contratti con gli italiani? Per ora non pervenuti. Basta questo per farne un leader nazionale? Giusto tre anni fa, ottobre 2011, Della Valle comprò paginate di giornali per lanciare un appello alla nazione: «Politici ora basta». Suscitò molte pernacchie e nessun seguito. Lui disse: «Io non farò mai politica nella mia vita».
Può darsi che abbia cambiato idea. Ma di imprenditori scesi in politica e vincenti finora ce n’è stato solo uno. E il Berlusca era il Berlusca, uno che fiutava il popolo e sapeva farlo sognare. E anche lui, alla fine, tutto quello che ha promesso siamo ancora qui ad aspettarlo. Gli altri che ci hanno provato sono state tristi meteore. A partire dal caro amico di Della Valle, Luca di Montezemolo, eterna promessa della politica: aveva fondato pure Italia Futura, e poi s’era dato assente proprio prima delle elezioni. Per il momento, tutto quel che i due amiconi hanno realizzato insieme è stato Italo, il treno di lusso deragliato prima ancora di partire. Un altro che starebbe a pennello nel Trio Lescano è Corrado Passera, che ha deciso di spendere i soldi delle sue molte liquidazioni per scendere in politica, prima o poi: «Farò meglio di Berlusconi», ha detto. Ma ancora nessuno l’ha visto.
Forse ci sbagliamo, ma il treno dell’uomo ricco e di successo che viene a salvare un popolo di somari e derelitti è passato da un pezzo. E senza rimpianti, per gli italiani. In fin dei conti Renzi piace anche per questo: perché è uno normale, con la moglie che fa la supplente a scuola, che si veste male come il tuo vicino di casa. Se Della Valle vuole provare a mettersi nelle scarpe degli italiani, prima gli conviene togliersi le sue.
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