L'Editoriale
Venerdì 07 Luglio 2017
Debito e corrotti
Doppio freno al pil
Recenti dati Istat e Confindustria segnalano una crescita del Pil nel 2017 (1,1%-1,3%) superiore alle precedenti previsioni (0,8%-0,9%). Un risultato, decantato oltre misura dagli esponenti del governo e definito insignificante da politici e organi mediatici dell’opposizione. In realtà, si tratta di una notizia senza dubbio positiva che va ascritta principalmente al contributo fornito dalle esportazioni del settore industriale, nel quale, tuttavia, continuano a coesistere imprese molto competitive - che si segnalano per un elevato livello tecnologico - e un vasto numero di altre di piccole dimensioni, quasi assenti sui mercati internazionali.
Nonostante questi ultimi dati positivi, però, continuiamo a crescere meno degli altri in Europa soprattutto per il limitato sviluppo della domanda interna, che è influenzata da molteplici fattori. Nel corso degli anni sono stati teorizzati diversi modelli economici per comprendere le variabili su cui far leva, al fine d’innescare una crescita più rapida della domanda interna. Tra queste variabili assumono particolare rilievo il debito pubblico e la corruzione. Il debito pubblico può aiutare sensibilmente la crescita se utilizzato in modo corretto: aumentando il livello d’istruzione della popolazione; effettuando investimenti in infrastrutture; finanziando la ricerca.
Un Paese più istruito avanza più agevolmente sul piano tecnologico. Gli investimenti in infrastrutture creano posti di lavoro che si trasformano in maggiore reddito, maggiori consumi, nuovi servizi. I Paesi che aiutano la ricerca attirano cervelli e frenano il loro esodo, riuscendo ad essere tra i primi ad inseguire il progresso tecnologico. Purtroppo, l’enorme peso del nostro debito (138%) non ci consente un suo impiego soddisfacente in queste direzioni. Si attende da decenni l’adozione d’interventi incisivi che portino alla stabilizzazione del debito e a una sua sensibile e graduale riduzione. La recente notizia della realizzazione di una «spending review» di circa 30 miliardi va, finalmente, in questa direzione che ci si augura possa essere confermata nei prossimi anni.
Altra variabile che incide sensibilmente sulla crescita della domanda interna è la corruzione. La Corte dei Conti ha stimato un suo costo di circa 60 miliardi di euro annui, ma l’effetto negativo della corruzione non è soltanto da ricercare nel danaro che i corrotti riescono a sottrarre all’utilizzo pubblico. Altrettanto grave è la sua incidenza nella perdita di credibilità e di efficienza della Pubblica Amministrazione, nel degrado dei rapporti sociali e nella distorsione dei meccanismi concorrenziali. La diffusione della corruzione, di cui si ha conferma ogni giorno, favorisce l’emersione di una classe dirigente di corrotti, che produce effetti emulativi talmente vasti da determinare un’irrimediabile inquinamento dei rapporti tra pubblico e privato. Non meno gravi sono le conseguenze sul piano della concorrenza.
La corruzione, infatti, promuove inevitabilmente l’emergere di una cultura imprenditoriale cinica e con pochi scrupoli, a discapito di quella più illuminata, capace di favorire sviluppo economico e benessere sociale nel pieno rispetto delle regole. Ancora, la corruzione altera la produttività del mercato del lavoro ogni qual volta favorisce, attraverso pressioni di vario tipo, l’assunzione di personale privo di meriti. Questa condizione contribuisce ad abbassare la produttività generale e a limitare la crescita. La corruzione, infine, scoraggia gli investimenti produttivi sia interni che internazionali, creando un clima favorevole solo per iniziative di dubbia legalità e di scarsa incidenza economica. La creazione di un’apposita Commissione anticorruzione presieduta dal magistrato Cantone, nel suo lodevole sforzo di prevenire il fenomeno, sta ulteriormente evidenziando la diffusa incidenza del cancro corruttivo nell’attività pubblica e privata. Scorrendo l’indice di corruzione percepita per il 2016, l’Italia si posiziona al 60° posto a livello mondiale su 176 Paesi, ma è indiscutibilmente prima nell’ambito del G7. Si impone, dunque, la necessità di adottare misure più severe delle attuali, che prevedano un sensibile aumento delle pene pecuniarie e di quelle detentive. Appare paradossale, infatti, che l’Italia si segnali come il Paese più corrotto in Europa e, nello stesso tempo, abbia solo lo 0,6% della popolazione carceraria detenuta per reati di corruzione, rispetto all’11% della Germania.
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