Cuba al bivio tra utopie
minacce e la vita vera

Bisogna studiare bene le parole di Trump sul futuro delle relazioni con l’ Avana per cercare di capire che cosa accadrà nell’ isola dopo la morte di Fidel: «Se Cuba rifiuta di accettare condizioni migliori per il popolo cubano, per i Cubano-americani e per gli Stati Uniti in generale - ha twittato - rescinderò gli accordi conclusi dalla precedente amministrazione».

Dato e non concesso che il neopresidente intenda veramente dare seguito a questo ultimatum, Raul Castro si troverà davanti a un dilemma: proseguire cammino delle riforme al ritmo lentissimo degli ultimi anni, sperando che Trump moderi le sue pretese, o cedere a Washington migliorando in tempi brevi la situazione dei diritti umani, concedendo libertà di parola e di stampa, accelerando la liberalizzazione dell’ economia e perfino prendendo in considerazione le richieste degli esuli per una restituzione dei beni confiscati. Che egli ceda su tutta la linea, appare improbabile, anche perché potrebbe far crollare il regime. Nei quasi due anni trascorsi dalla ripresa dei rapporti con l’ America ha sì lasciato un po’ più di spazio all’ iniziativa privata soprattutto nel campo del turismo - 500.000 cubani lavorano ormai in questo settore - concesso un uso più ampio di internet e largheggiato con i visti di uscita, ma non ha modificato la struttura comunista del regime, ha continuato a fare retate di oppositori (9.125 fermi solo nel 2016) e ripetuto che avrebbe respinto «ogni attacco alla sovranità dello Stato».

C’ è chi ipotizza che tanta rigidità, che ha deluso lo stesso Obama, fosse in parte dovuta alla residua influenza di Fidel, contrario alle aperture all’ America, e che pertanto Raul sarà ora più libero di muoversi. Diversi fattori possono contribuire a renderlo più malleabile. Anzitutto, la grande voglia di cambiamento della gioventù, che ho constatato di persona durante una recente visita all’ Avana. In secondo luogo, la drammatica situazione economica, aggravata dal venir meno degli aiuti del Venezuela dopo la morte di Chavez e le condizioni di severa povertà di buona parte della popolazione (lo stipendio di un’ infermiera, tanto esempio, si aggira tra i 30 e i 35 dollari al mese). Infine, ci sono i benefici che gli accordi con gli Stati Uniti hanno già portato nonostante l’ embargo: moltiplicazione dei turisti a stelle e strisce, investimenti milionari, intensificazione dei rapporti commerciali, culturali e sportivi, rimozione di Cuba dall’ elenco dei Paesi promotori del terrorismo. Perderli sarebbe un duro colpo, che porterebbe senz’altro a un nuovo, massiccio esodo di giovani.

Anche Trump, tuttavia, potrebbe incontrare qualche difficoltà a disfare l’ operato di Obama, rompendo nuovamente le relazioni diplomatiche e ostacolando - come vorrebbero molti esuli suoi elettori - la ripresa dei rapporti economici. Da bravo uomo d’ affari, si rende conto che questi vanno a vantaggio di entrambi i Paesi e che tornare al vecchio ostracismo recherebbe un grave danno alle tante società che stanno avviando progetti a Cuba. Per quello che conta, una radicale marcia indietro irriterebbe anche gli alleati europei, che pur rifiutandosi di mandare rappresentanti di alto livello ai funerali di Fidel sono da sempre più aperti nei confronti dell’ isola. Inoltre, non solo una nuova rottura non conseguirebbe risultati politici, ma finirebbe con l’ irrigidire l’ ala dura del regime. Probabilmente, perciò, i rapporti proseguiranno sulla falsariga attuale fino al ritiro dell’ 84enne Raul, previsto per il 2018, e il conseguente arrivo al potere di una nuova generazione più pragmatica e meno legata al mito della «revolucion». Il suo capofila potrebbe essere l’ attuale vicepresidente Miguel Diez-Canel, che con i suoi 56 anni non era neppure nato quando Fidel fece il suo ingresso all’ Avana e avrebbe meno difficoltà a una normalizzazione dei rapporti.

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