Crisi bancarie
Migliorare il sistema

La fine della legislatura estingue anche la Commissione sulle crisi bancarie, tardivamente avviata a ottobre e quindi geneticamente destinata all’inutilità, o quasi. La sua conclusione è una fortuna o un’occasione persa? Un po’ entrambe le cose. È un bene purché si smetta di incentrare il dibattito sulla famiglia Boschi. Il padre passava dalle parti di Banca Etruria quasi per caso e non ha responsabilità diverse da quelle, molto limitate, di un consigliere di amministrazione non esecutivo e di recente nomina, quando i problemi dell’istituto toscano risalgono molto indietro nel tempo.

La figlia è stata quantomeno poco accorta nel suo agitarsi intorno alla banca del territorio (e con il papà in consiglio di amministrazione). Un interessamento che, se esteso anche alle altre banche in difficoltà, poteva essere del tutto legittimo e opportuno. Il governatore Zaia, per esempio, si è adoperato molto per le due banche venete, ma lo ha fatto per entrambe e senza congiunti in posizioni apicali. Ma queste, per dirla con il Manzoni, sono «sottigliezze metafisiche che una moltitudine non ci arriva». O, almeno, Maria Elena non c’è arrivata.

Cosa perdiamo con la prematura conclusione dei lavori della Commissione? Perdiamo il sugo, il risultato di due mesi di serrate audizioni che, a dispetto della vulgata giornalistica e dei politicanti, sono state molto più ampie e profonde della misera vicenda dei Boschi. Il presidente Casini ha condotto un buon lavoro di raccolta e ordinamento dei documenti e delle testimonianze disponibili. Alla fine non è emerso niente di nuovo, nulla che una persona ben documentata non sapesse o non fosse in grado di conoscere. Però oggi c’è un monumentale lavoro di ricognizione che potrebbe risultare molto utile al (futuro) Parlamento per avanzare proposte.

Peraltro questo è esattamente lo scopo delle Commissioni parlamentari d’inchiesta. È illusorio pensare che deputati e senatori della XXVIII legislatura riprendano in mano queste carte e prendano iniziative per il miglioramento del nostro sistema bancario?

Poiché non so rispondere alla domanda precedente, ne pongo un’altra: potrà il lavoro della Commissione generare proposte correttive delle disfunzioni del sistema bancario? Io credo di sì, in fondo basterebbe un briciolo di accortezza e di saggezza. Per esempio si potranno oliare i meccanismi di collaborazione fra le diverse autorità di controllo e, perché no, meditare su una riforma della attuale architettura, imperniata su Consob per i mercati e Banca d’Italia per gli intermediari, per andare verso un modello di vigilanza unica, simile a quello del Regno Unito. Su questo fronte, la Commissione non ha sufficientemente indagato le criticità delle relazioni fra autorità europee e italiane nella gestione delle crisi, problematiche che sono emerse stridenti nella gestione delle cosiddette good banks.

Oppure si potrebbe lavorare per rendere effettivo il limite di mandati degli esponenti apicali delle banche, escluse quelle private: dalle audizioni è risultato evidente che se alcuni banchieri hanno potuto assoggettare l’azienda al loro interesse è stato in virtù di una troppo lunga permanenza al comando. O ancora si dovrebbe rivedere la disciplina dei finanziamenti agli esponenti aziendali, troppo blanda e formale.

E per quanto riguarda i risparmiatori ingannati? Su questo fronte gli strumenti di controllo e di protezione esistono già e sono potenzialmente efficaci. Si tratta solo di fare più controlli e con un approccio più sostanziale che meramente formale.

Dunque, un embrione di risultato c’è. Diventerà feto e poi creatura? Vedremo dopo il 4 marzo.

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