Costituzione presbite
Va protetta dai miopi

Sono passati 70 anni dal giorno in cui entrò in vigore l’atto fondamentale che definisce la natura, la forma, la struttura, l’attività e le regole fondanti di uno Stato, la fonte principale del diritto, cioè quella dalla quale dipendono tutte le altre leggi: la Costituzione della Repubblica italiana. Vi si enunciavano i principi che avrebbero tracciato il nuovo percorso dell’appena nata Repubblica Italiana. E anche se quei principi non hanno avuto ancora piena attuazione, non hanno tuttavia mai perso autorevolezza, svolgendo sempre – per la loro storia e per la loro genesi – un ruolo di monito e di guida per l’intero Paese.

Principi che, ovviamente, possono (e devono) essere migliorati, ma che rimangono ugualmente saldi e semmai essere applicati con maggiore equità e credibilità. I padri costituenti riuscirono a trasformare le macerie lasciate dalla guerra in speranza, immaginando un futuro diverso e migliore, con uno Stato fondato su ogni contributo, individuale e collettivo, che fosse utile allo sviluppo e alla crescita del bene comune. Fu con questa lungimiranza che pensarono la neonata Repubblica.

70 anni sono un traguardo importante. E la nostra Costituzione è ancora in grado di esprimere non solo una continuità nei valori, ma anche una solida stabilità in merito alle scelte istituzionali delineate dai costituenti, come quella, la più significativa di tutte, di essere appunto una Repubblica. È bene però che i valori e i principi custoditi in quel prezioso scrigno che è la nostra Carta costituzionale siano percepiti come tali da tutti, soprattutto dai giovani. Ogni nuova generazione, infatti, deve sentire il dovere civico di appropriarsene e le istituzioni scolastiche e universitarie si devono far carico di trasmettere questo patrimonio. È una felice coincidenza che al settantesimo anniversario della Costituzione italiana faccia anche da pendant il cinquantesimo anniversario dell’Università degli studi di Bergamo, che cade appunto quest’anno, e nelle cui manifestazioni pensate per celebrare l’evento ci si preoccuperà, senz’altro, di parlare dell’eredità, ma anche delle prospettive della Carta costituzionale.

Nel corso delle varie legislature che hanno scandito la storia del nostro Paese, abbiamo assistito a diversi tentativi di riforma della Costituzione. Le modifiche però, ne sono convinto, vanno fatte in modo condiviso e un passo alla volta, mantenendola invariata nel suo dettato generale, poiché è ancora in grado di assicurare un futuro a coloro che la eleggono a loro guida. E per riuscirci c’è soltanto un modo: bisogna sentirla e farla vivere in sintonia con quel che è cambiato e cambia in noi e intorno a noi.

Ora, che questo sia il metodo lo aveva già ben capito Piero Calamandrei, le cui posizioni nell’Assemblea costituente furono tra le più problematiche e travagliate, ma che fu poi tra più appassionati protagonisti della denuncia di ogni mancata attuazione della Costituzione. Calamandrei sapeva che, alla fine di un dibattito segnato da scontri aspri e soluzioni controverse, era tuttavia stata approvata a larghissima maggioranza una Carta che conteneva tutta la nostra storia di italiani così come i semi del nostro comune futuro. La Costituzione fu, in definitiva, ciò che proprio Calamandrei aveva auspicato, dicendo: «è un errore formulare gli articoli della Costituzione con lo sguardo fisso agli eventi vicini, […] alle amarezze, agli urti, alle preoccupazioni elettorali dell’immediato avvenire. […] La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope».

La nostra Costituzione repubblicana, per fortuna, non è nata miope. E il nostro dovere di eredi di questo straordinario patrimonio è di salvaguardarlo dai miopi e di spingere lo sguardo sempre avanti.

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