Così Madre Teresa
vedeva il bisogno

L’immagine più indimenticabile di Madre Teresa è quella che ci consegnò un ignaro Pier Paolo Pasolini. Era il 1961. Lo scrittore era in viaggio a Calcutta insieme ad Alberto Moravia e a Dacia Maraini. Aveva sentito parlare di questa suora che si occupava dei più poveri dei poveri e decise di andare a conoscerla. I suoi compagni di viaggio invece si sfilarono, spaventati da quel contesto di degrado. Nel resoconto raccolto nel suo Diario in India, Pasolini non fa cenno ad un dialogo avuto con Teresa.

Semplicemente registra lo stupore perché mai, scriveva, «lo spirito di Cristo mi è parso così vivido e dolce; un trapianto splendidamente riuscito». Infine annotava due impressioni acute e strane, che la suora era «anziana e alta». E poi, sottolinea, le pareva una donna che «quando guarda «vede». Sono passati 20 anni dalla morte della fondatrice delle Missionarie della Carità (e uno dalla sua canonizzazione) e quelle due sottolineature, frutto di un’intelligenza libera e laica come quella di Pasolini, possono essere prese da guida per capirne oggi la figura. Pasolini, prendendo evidentemente un abbaglio, ci dice che Madre Teresa era «alta». Sappiamo invece che una delle sue caratteristiche con cui più la ricordiamo era, all’opposto, la sua piccolezza.

Ma vederla «alta» significa aver colto quell’aspetto impressionante del suo agire: la capacità di essere dappertutto, di «farsi in mille» con una naturalezza che non evidenziava un particolare sforzo. Madre Teresa appariva «alta» perché era continuamente chinata sui suoi poveri, quasi sempre curati in condizioni estreme, contro ogni speranza. Poveri a cui lei assicurava oltre che l’assistenza, la prossimità. Era con loro, ma era soprattutto «su» di loro, con quella sua presenza protettrice e capace di assicurare un sollievo, dove sembrava impossibile portarlo. Appariva «alta» anche in quel suo procedere veloce, quasi camminasse senza neppure appoggiare i piedi sulla terra, nell’ansia (o meglio, nel desiderio) di arrivare più velocemente da chi aveva bisogno. Ed era «alta» anche per un motivo che oggi possiamo ben toccare con mano e misurare: Teresa, con le sue Missionarie della Carità, è infatti arrivata in ogni angolo del mondo. Oggi sono oltre seimila le suore del suo ordine, in oltre 130 Paesi. In Italia sono 129 e vivono in 18 comunità, stando vicino ai poveri a Milano (una mensa a Baggio), a Roma con cinque case, ma anche Napoli, Firenze, Genova e Torino. Un vero esercito che ha incarnato, moltiplicandolo, quell’«archetipo fondante dell’essere umano sotto ogni cielo, cioè il sapersi fare carico dell’altro per il solo desiderio di condividere la sua condizione di bisogno» (Francesco Ognibene su Avvenire). Arrivava dove nessuno se lo sarebbe aspettato, cioè dove ragioni di strategia politica non lo avrebbero consigliato: come quando era sbarcata a Cuba, nel 1986, conquistando la simpatia di Fidel Castro a cui aveva lasciato in regalo un’immagine della Vergine dei Miracoli. Tale è stato l’affetto della popolazione cubana nei suo confronti che due anni dopo la sua morte, nel 1999, le è stato anche dedicato a L’Avana un monumento di bronzo. Il giorno dell’inaugurazione il discorso venne tenuto da uno storico cubano comunista che elogiò «la spiritualità intensa e la somma umiltà di quella grande donna, in un mondo martirizzato dalla povertà e dalla guerra». «Grande donna»: evidentemente Pasolini non aveva preso un abbaglio...

Pasolini annotò poi che Teresa era una che «quando guarda vede». Geniale osservazione quest’ultima, frutto di una sensibilità come può essere solo quella di un grande scrittore. Un’osservazione che dice tutto del metodo di Teresa, capace di intercettare immediatamente nelle persone il bisogno, anche quello nascosto e taciuto. Ma cosa la rendeva capace di questo? Il fatto di avere lei stessa sperimentato il bisogno. Non tanto quello della povertà materiale, ma quello generato da un’angoscia spirituale che aveva segnato in profondità alcuni momenti della sua vita. La fede per lei era sempre un «cercare».

Un cercare Gesù, che a volte, come lei stesso ha raccontato, le si nascondeva. «So che mi vuoi bene, ma non mi dai più il minimo segnale», si era trovata a dire. È l’attraversamento di questa oscurità che le ha permesso di avere un occhio più acuto e profondo, capace non solo di «guardare», ma di «vedere» l’oscurità materiale che attraversava la vita degli altri. E quindi di mettersi sempre, instancabilmente in azione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA