Contro le molestie
nella giungla del lavoro

Secondo un report Istat sono state 8 milioni e 816 mila le donne, fra i 14 e i 65 anni, «interessate nella loro vita da qualche forma di molestia sessuale». Negli ultimi 3 anni le donne molestate sono state pari al 15,4% del totale e al 7% nell’ultimo anno. Il 24% delle donne ha riferito di essere stata importunata verbalmente con proposte e commenti pesanti. Seguono pedinamenti (20,3%), molestie con contatto fisico (16%), atti di esibizionismo (15,3%), telefonate a sfondo sessuale (10%). Sono stati molestati nel corso della vita anche 3 milioni 754 mila uomini. I molestatori sono uomini nel caso del 97% delle vittime donne e dell’85,4% delle vittime uomini.

Per quanto riguarda il contatto fisico non voluto, oltre il 60% avviene sui mezzi pubblici o in locali, molestie agite da estranei e occasionali. La buona notizia è che, confrontati i dati con un’indagine analoga del 2008-2009, l’Istat conferma che tutti i tipi di molestia sono in calo, probabilmente perché è cresciuta la condanna pubblica dei comportamenti e le vittime tacciono meno.

O sono tornati in auge i rimedi della nonna: anti-manomorta (dagli un pestone col tacco), anti-toccata (mira col ginocchio laggiù) e anti-esibizioni (tira dritto). Cioè rimedi casalinghi, che tolgono il gusto immediato della molestia, ma che certamente con migliorano il costume e non alzano il livello di civiltà. La cattiva notizia è che i dati riguardanti le molestie sui luoghi di lavoro, e in particolare quelle più odiose, legate al differenziale di potere esercitabile, sono sostanzialmente stabili.

Il ricatto sessuale esplicito in fase di assunzione è stato sperimentato da un milione e 173 mila donne, pari al 7,5% e le categorie più colpite sono impiegate (37,6%) e dipendenti del commercio (30,4%). Ma anche il 20% delle donne dei mondi professionali e il 18% delle colf. Se poi c’è in ballo un avanzamento di carriera i ricatti salgono al 25,5%. Per il 32,4% la molestia-ricatto è ripetuta e protratta nel tempo. Se c’è di mezzo il lavoro, si sta zitte: l’80,9% non ne ha parlato con nessuno, anche se per il 23,8% si è trattato di casi giudicati «molto gravi» e per il 45,8% «abbastanza gravi». Che dire? Il lavoro è la dimensione quotidiana della lotta per la sopravvivenza e, alla faccia delle belle teorie del lavoro in equipe e del contributo creativo, vige la legge della giungla. Non quella di Mowgli, proprio quella che io, comunque, o ti elimino o tento di trarre da te un vantaggio per me. Almeno nella grande maggioranza dei casi. Il sesso, come il cibo, è la più atavica delle commodity e hanno ragione le attrici di «Dissenso comune» a parlare di «sistema» e le giornaliste, nella loro lettera di appoggio, di «battaglia di civiltà». Quindi di una realtà complessa e radicata che ha bisogno di uno sforzo comune e a vari livelli (i soliti: repressione, discussione, educazione, partecipazione) per essere modificata nella prassi e nella coscienza. Nel frattempo, nei casi lievi ci si può difendere con un po’ di ironia, in quelli seri occorre subito e sempre sentire il «muro di solidarietà» a cui appoggiarsi per trovare il coraggio di reagire. E tutti dobbiamo fare muro. Lasciando da parte il sussurro. Nel report Istat ci sono però due dati gravi che riguardano i più giovani: la percentuale delle molestate e dei molestati nella fascia d’età 14-24 supera il 25%. E oltre 2 milioni di persone (il 5% della popolazione dai 14 ai 65 anni) hanno subito quando erano minorenni atti sessuali contro la loro volontà. In particolare 1 milione 567mila donne (7,8%) e 435mila uomini (2,2%).

Per circa un quarto delle vittime le violenze si sono ripetute. I molestatori sono, sia per i maschi sia per le femmine, sconosciuti (36,4%). Ma i conoscenti (anche adulti di riferimento) sono il 22,7% e familiari e parenti risultano responsabili delle violenze per il 14,8% delle femmine e per il 7,4% dei maschi. E qui, il discorso si fa davvero lungo.

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