Colosseo, la politica
non può fare sciopero

Passata la bufera mediatica generata dalla ritardata apertura del Colosseo e dei Fori romani nella mattinata di venerdì è interessante farsi qualche domanda. Per quale motivo i custodi avevano chiesto di potersi riunire in assemblea? Era davvero un’assemblea senza preavviso? Sono due domande le cui risposte aiutano a farsi un quadro più preciso. Cominciamo dalla seconda. L’assemblea era stata regolarmente richiesta e autorizzata, in quanto i sindacati avevano rispettato la tregua di luglio e agosto, mesi di grande afflusso, e quindi si erano dati appuntamento a settembre.

Tanto è vero che i giornali romani di venerdì mattina riportavano l’avviso della ritardata apertura: chiaro che nessun turista legge i giornali romani. A chi toccava allora avvisare i turisti in coda? Probabilmente alla Sovrintendenza, con cartelli che spiegassero la situazione. Così non è stato fatto. E questo mancato avviso suona un po’ come una trappola tesa ai sindacati, pensata per far esplodere il caso a livello politico, come poi è successo. Perché i custodi del Colosseo si volevano riunire in assemblea? Perché da nove mesi non vengono riconosciuti loro gli straordinari. Il sito più visitato d’Italia (oltre sei milioni di ingressi l’anno, circa 16mila al giorno) è affidato a 26 custodi che lo tengono aperto dalle 8,30 alle 19 (orario di settembre).

Evidentemente è facile indignarsi di fronte allo spettacolo dei turisti in coda, ma bisognerebbe chiedere a Renzi e al ministro Franceschini se davvero un monumento «sensibile» a livello mediatico mondiale come il Colosseo non richieda una maggiore attenzione e investimento di risorse. Queste situazioni così precipitose nascondono sempre dell’ipocrisia, e anche il caso romano di venerdì non è da meno.

Il risultato di tutto questo è stata comunque una decisione significativa. Un decreto legge flash approvato dal Consiglio dei ministri ha equiparato i luoghi della cultura ai servizi essenziali, come trasporti e sanità, per cui ogni protesta dovrà avere l’approvazione del Garante degli scioperi. Dire che la cultura è servizio essenziale in un Paese come il nostro, è una scelta strategica e non può essere solo un escamotage per evitare di trovarsi in situazioni come quella del Colosseo o di Pompei poche settimane fa. È insomma anche un grande impegno. I servizi essenziali esigono cura, strategia, investimenti. Prendiamo il caso della custodia di monumenti di grande attrattività come il Colosseo, un monumento la cui ricaduta economica su una città come Roma è oltretutto incalcolabile: 26 custodi sono numero sufficiente? E soprattutto, che tipo di formazione è stata data loro? Quanti di loro sanno l’inglese? Un custode del Colosseo non può essere un semplice sbigliettatore o un vigile messo a far fluire il pubblico.

In queste settimane c’è un’altra grande istituzione europea messa sotto stress da una protesta sindacale. È la National Gallery di Londra, il museo più visitato in Gran Bretagna, con numeri anche superiori allo stesso Colosseo. I custodi da mesi scioperano chiudendo alcune sale del museo, per protestare contro l’affidamento a una società esterna dei servizi di guardaroba e in parte di custodia del museo. Tra i motivi della protesta c’è anche il fatto che al nuovo personale non verrebbe richiesta nessuna preparazione in fatto di storia dell’arte. I custodi della National difendono anche l’idea che la cultura sia un servizio essenziale e quindi vada trattata con rispetto e serietà. Non sempre gli scioperi vengono per nuocere... Speriamo che la bufera romana avvii un processo in cui tutti si prendono le loro responsabilità, governo per primo.

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