L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 11 Marzo 2018
Ci sono due Italie
ma senza progetto
Di Maio, che è uno svelto, dice che siamo già nella Terza Repubblica, ma le due Italie uscite dal voto sono quelle di sempre, dall’Unità ad oggi: un Nord con il turbo, un Sud con la retromarcia. Le proposte seduttive dei vincitori (flat tax del centrodestra e reddito di cittadinanza dei grillini) muovono da una base reale perché rappresentano i bisogni dei rispettivi territori, ma sono contenitori di interessi in conflitto, non in grado di saldarsi in un progetto per il Paese. Quel che servirebbe all’Italia. Siamo allo spezzatino di cui ha parlato il presidente Ipsos, Nando Pagnoncelli: un insieme diviso fra le ragioni di un’area che conta e la disperazione di un’area che non conta. Una frattura che attraversa la storia italiana, il riflesso di memorie e orizzonti alternativi: è riemersa con la Lega territoriale di Bossi, perdura con la Lega nazionale di Salvini.
Un bipolarismo conflittuale di ceto e geografico che si ripropone, pur in termini diversi, come costante irrisolta: sin dalla stagione di Giolitti con il Nord protezionista e il Sud contro i dazi.
Il beneficio economico della «tassa piatta» (aliquota unica) al Nord è misurabile sull’Irpef: da noi il contribuente versa 3.397 euro l’anno, nel Mezzogiorno la metà. Schema rovesciato per il reddito di cittadinanza (integrazione per chi è in povertà assoluta e relativa), dove i trasferimenti dello Stato andrebbero in massa al Sud. In quelle regioni, infatti, l’incidenza della povertà relativa sfiora il 20%, il doppio della media nazionale, mentre al Nord è la metà del dato italiano.
La flat tax è un vecchio pallino dei liberisti ed è stata rilanciata da Salvini per ricreare un blocco sociale di riferimento che non fa più perno sul mitico popolo delle partite Iva, ma che deve tener conto della divisione indotta dalla crisi economica: il solco che s’è creato fra chi ha tenuto sui mercati internazionali e chi non ce l’ha fatta affidandosi alla domanda interna.
Si combina però male in società fortemente disuguali come quella italiana: sono anche le misure fiscali a decidere chi sta dentro e chi sta fuori. In effetti l’economia può girare come ai tempi di Reagan, ma l’evidenza empirica ha smentito che la ricchezza accumulata ricrei automaticamente le mancate entrate pubbliche e che i profitti «sgocciolino» (come vuole la teoria) per forza d’inerzia dall’alto sulla platea dei meno abbienti. Lo stesso Fondo monetario è orientato su un fisco progressivo, come recita la Costituzione italiana, per soccorrere i perdenti della globalizzazione: la flat tax anche su questo punto non convince del tutto.
Nell’Europa dell’Est, dove è stata applicata, ha contribuito a liberare gli spiriti animali del capitalismo, radicalizzando le disuguaglianze. Era una scelta plausibile in società che, dopo il comunismo, erano ugualitarie sul piano della miseria e la tassa unica per tutti ci poteva stare. Per il nostro Sud, questa riforma avrebbe un impatto territoriale ed effetti redistributivi molto negativi. La tendenza, poi, alla deindustrializzazione dei 5 Stelle completerebbe il cortocircuito. E si capisce: il Sud è all’anno zero e la crisi ha picchiato più duro sulla parte più debole del Paese, gli anni peggiori per il Sud dell’intera parabola unitaria.
Qui gli elettori hanno fatto il copia e incolla delle promesse di Di Maio, affollando gli uffici fiscali per richiedere il reddito di cittadinanza che non c’è e al quale non crede lo stesso teorico della decrescita, Serge Latouche. Piccolo mondo surreale e antico, si dirà, che tuttavia parla anche di un rapporto malato fra povertà e consenso politico. Ma quando si è disperati non ci si chiede come il vincitore possa garantire i 780 euro al mese, come attiverà gli sgravi fiscali e come arriverà a ridurre del 40% il rapporto debito-Pil.
L’illusionismo paga su un corpo che chiede aiuto e che non ha nulla da perdere: Di Maio s’è assunto un serio impegno nell’aver acceso una speranza nei suoi concittadini e che ora passano all’incasso con gli interessi. Il Nord conosce i guasti storici prodotti dal rancore del ceto medio, del Sud sappiamo che il proletariato è una massa critica talora strumentalizzata per operazioni spregiudicate dalle forze ultraconservatrici. Un motivo in più per tornare alla prosa della responsabilità richiamata da Mattarella: le Italie del 4 marzo sono due negazioni che non fanno un’affermazione.
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