Cercasi cultura
salva ambiente

Abbiamo ancora tutti sotto gli occhi le immagini della Costa Azzurra e di varie aree, anche del nostro Paese, devastate da cataclismi senza precedenti. Ebbene, nonostante il ripetersi in tutto il mondo di questi eventi catastrofici, determinati dalla crescente «tropicalizzazione», stenta ancora ad affermarsi ai vari livelli di responsabilità politica una forte cultura ambientalista. Ancora oggi, oltre l’80 per cento dell’energia utilizzata nel mondo viene ricavata bruciando combustibili fossili che, producendo «gas serra», sono all’origine del riscaldamento globale.

Il protocollo di Kyoto cui aderiscono 185 Paesi - approvato nel 1997, ma entrato in vigore nel 2005 con l’adesione di Russia e Canada - rappresenta uno degli impegni più importanti per garantire l’equilibrio climatico. Purtroppo, non è rispettato dagli Usa, responsabili del 36,2% delle emissioni, e ne sono stati esclusi Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo, non ritenuti responsabili delle emissioni di gas serra nel periodo di grande industrializzazione.

Primo obiettivo dell’accordo di Kyoto è stato quello di contenere, nel periodo 2008/2012, le emissioni di gas serra del 5% rispetto ai valori del 1990. Per raggiungere questo obiettivo - che solo nei primi mesi del 2016 l’Onu ci dirà in quale misura è stato raggiunto - solo 37 Paesi hanno erogato consistenti incentivi per la produzione di energie rinnovabili, con investimenti che sono passati dai 39,5 miliardi di dollari del 2004, ai 300 del 2014.

Questi dati emergono da «Scenari del mercato europeo dell’energia», un rapporto pubblicato da Unicredit nel luglio 2014 che sottolinea, tra l’altro, quanto l’Europa si confermi come la principale area di destinazione di questi investimenti, assorbendo il 40% degli impianti realizzati nel 2014.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo quanto dichiarato dal governo dell’epoca, sarebbero stati rispettati gli obiettivi fissati da Kyoto per il 2012. A ciò avrebbe contribuito, in particolare, la diffusione del solare sull’intero territorio nazionale, con una potenza complessiva installata di 12.749 MW. Va aggiunto, peraltro, che il «Piano energetico nazionale», varato nel 2014, si pone l’obiettivo di raggiungere nel 2020 la quota del 20% di consumi energetici soddisfatta da rinnovabili, per arrivare al 30% nel 2030. Ne deriverà una consistente diminuzione di emissioni nocive e un risparmio sulle importazioni di energia di circa 20 miliardi l’anno nel 2020 e di 30 miliardi nel 2030.

I dati confortanti che emergono in Europa e nel nostro Paese non trovano altrettanti riscontri positivi in altri grandi paesi del mondo che, messi insieme, producono la stragrande maggioranza delle emissioni di gas serra del pianeta. Solo di recente è intervenuto un accordo tra Barack Obama e il Presidente cinese Xi Jinping per una riduzione sensibile delle loro emissioni, che dovrebbe partire dal 2017.

Sta di fatto che, sulla base dei dati attuali sul riscaldamento del pianeta, non poco allarme hanno prodotto gli studi di due autorevolissime Istituzioni internazionali. Un «modello teorico» elaborato dal Massachusets Institute of Technology di Boston ha calcolato un aumento di 4,5 gradi della temperatura media della terra nel 2100. Questo porterebbe ad un innalzamento del livello dei mari, che metterebbe sott’acqua metà del pianeta e renderebbe deserta l’altra metà. Così anche, secondo un rapporto stilato dall’Università di Adelaide in Australia, l’impatto del cambiamento climatico negli ecosistemi marini «porterebbe ad un collasso progressivo delle varie specie viventi dalla cima della catena alimentare verso il basso».

L’assoluta attendibilità sul piano scientifico di questi studi dovrebbe fortemente richiamare alle loro responsabilità soprattutto i «grandi» del pianeta. Una storica occasione potrebbe essere rappresentata dalla conferenza internazionale sull’ambiente, fissata per il prossimo dicembre a Parigi, alla quale hanno confermato la loro partecipazione anche Cina, Usa e Russia. L’auspicio di molti è che da Parigi parta una nuova Kyoto e che, nella consapevolezza della improrogabile necessità di fermare lo sconvolgimento dell’equilibrio atmosferico, si propongano programmi ancora più radicali di riduzione delle quantità di CO2 emesse in atmosfera. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fermare il riscaldamento del pianeta a 2 gradi centigradi tra il 2025 e il 2030, come auspicato dagli studiosi dell’università di Adelaide. In quest’ottica è l’accorato appello di Papa Francesco contenuto nell’enciclica «Laudato sì» sull’abuso dell’ambiente, con la sua forte critica alla «violenza irresponsabile afflitta dall’uomo alla sorella Terra».

Anche in questa occasione il magistero di Papa Francesco offre una grande lezione di umanità e di responsabilità, ricollocando l’ambientalismo al centro della convivenza civile. Il problema, come in più occasioni il Papa ha affermato, è quel capitalismo selvaggio e predone che non si è preoccupato, finora, dei danni provocati all’ambiente e alla salute dei cittadini. Perché si può produrre, vendere e fare profitto senza avvelenare necessariamente l’aria, l’acqua e la natura, rendendo compatibile il modello di sviluppo economico e sociale con i valori primari della sopravvivenza e della vita.

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