Caro Renzi, i suoi tweet
non arrivano in periferia

Le amministrative di domenica sono derubricabili a incidente di percorso, per cui sistemate le cose nel Pd di Napoli tutto torna al suo posto, o sono qualcosa di più impegnativo per l’identità del principale partito italiano? La domanda, rivolta a Renzi e al suo gruppo dirigente, nasce dal voto disgiunto fra periferia e centro in città come Milano, Roma e Torino, un tratto distintivo di questa tornata e che segnala una separazione fra questi due universi sociologici: il Pd ha preso più consensi nei quartieri bene e meno nelle aree in sofferenza delle periferie, andate in parte a grillini e centrodestra.

Il dato, come schema rovesciato fra sinistra e destra, non è statisticamente nuovissimo: la novità sta nel suo ripetersi, quasi a diventare cronico, e del resto, letto nella cornice europea, i ceti popolari sono ormai rappresentati in gran parte dalle forze antisistema e il caposcuola della famiglia Le Pen è il primo partito operaio di Francia sin dalla fine degli anni ’90. Per quanto la fuga degli strati svantaggiati verso i populisti di varia natura sia stata vissuta a suo tempo dalla sinistra come una sorta di redenzione dal peccato ideologico originario, questo distacco dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di un partito che si definisce democratico e per sua natura interclassista.

Il cuore a sinistra e il portafogli a destra, come si diceva tempo fa dei progressisti al salmone? Smarrire l’anima popolare, allentare la connessione sentimentale con i perdenti denuncia un limite di sensibilità umanistica, perché trasmette l’idea che non si crede più alla propria storia e ai propri valori e che si sta dalla parte dei vincenti. Lo scontro periferie-borghesie, l’opposizione fra le due città, rientra nella logica della battaglia contro le élites dei grillini e di Salvini. La percezione, ingannevole, è che il Pd finisca così con l’essere confinato nella riserva indiana dei notabili, dei manager metropolitani, dei tecnocrati in loden, delle persone affermate.

Insomma, il partito dei Parioli che piace alla gente che piace, che comunica con gli accreditati che tutto sanno e che trascura chi è soltanto spettatore dei propri bisogni. È la distribuzione geografica dei voti a parlare di questa nuova rappresentanza dei democratici, un po’ club da benpensanti, di cui è rimasto vittima anche il mite Fassino, l’ultimo segretario dei Ds, che pure ha alle spalle una vicinanza con il ceto operaio e che ora gli è precluso. Lo stesso Renzi, benché abile a interloquire in presa diretta con i cittadini, deve constatare che non è più sufficiente il suo «parlare al popolo» bypassando i corpi intermedi come i sindacati: i suoi tweet non raggiungono la periferia. Deve poi riscontrare che alcuni provvedimenti di politica economica, peraltro positivi, come gli 80 euro e l’azzeramento della Tasi non hanno toccato il cuore del ceto medio-basso.

Osservando in controluce l’alfabeto del premier, le sue parole centrali riflettono la preoccupazione di identificarsi più con i numeri uno, con i piani alti dell’eccellenza, che non con i piani bassi. Dovrebbe infine convenire che il botto delle europee, con il Pd sopra il 40%, benché irripetibile, è stato il risultato di un centrosinistra che effettivamente era riuscito a dialogare con tutti i segmenti sociali, come era avvenuto anche con l’ex sindaco di Milano Pisapia che ha saputo tenere insieme periferie e borghesia illuminata. La questione delle «due città in una» indica un cambiamento profondo degli umori collettivi, volatili e infedeli, che si consumano fra paura e spaesamento: pretendiamo di conoscerne le cause e non sappiamo cosa ci aspetta al capolinea. Un percorso non lineare, disseminato di trappole e che non garantisce una lealtà per tutte le stagioni come può capire lo stesso Salvini, l’uomo della ruspa nelle periferie: a Roma la sua lista ha fatto flop, a Milano la Lega è stata quasi doppiata da Forza Italia e lui stesso è stato superato nelle preferenze dalla Gelmini.

L’apparente divorzio periferia-borghesia non ha una sola dimensione e non tutto si spiega in modo esclusivo con la materia infiammabile dei migranti. In qualche piega meno visibile il malessere sociale anti elitario e il diniego verso chi governa possono essere interpretati come una elementare richiesta d’aiuto e di rispetto verso chi si sente abbandonato nell’imperfezione umana di tutti i giorni. La solitudine dei numeri zero.

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