L'Editoriale
Venerdì 15 Febbraio 2019
Carità, progetti
non slogan
Sono loro l’Italia migliore, quella che ogni giorno smaschera la retorica sull’allarme delle migrazioni e lo fa pacatamente senza alcuna critica sovversiva, senza raccogliere le provocazioni di chi si erge a custode dei territori e cavalca un malcontento irrazionale per giustificare politiche e norme securitarie sull’immigrazione. Sono quelli che elaborano soluzioni e si tengono lontano dalle polemiche dei miti tossici sull’emergenza e sulla purezza che fonda la sovranità. Sono quelli che con fatica ogni giorno osteggiano la narrazione mainstream e smontano con pazienza e sapienza la barriera della paura in perenne costruzione che trasforma il malcontento in rancore con il rischio di scivolare verso scelte crudeli di cripto razzismo.
Sono quelli che accolgono e rifiutano la logica dell’intruso, del fuorilegge, dell’illegale. Sono famiglie, parrocchie, istituti religiosi. Sono Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, i gesuiti del Centro Astalli, i duemila centri di ascolto sulla povertà della Chiesa in Italia, tutta gente che ha deciso di far posto all’altro e di non finire nella trappola dell’ostilità che revoca l’ospitalità. Si sono dati appuntamento a Sacrofano, un piccolo paese alle porte di Roma. E con loro ci sarà oggi pomeriggio Papa Francesco. Tre anni fa Bergoglio aveva lanciato un appello ad aprire le case, i conventi, le parrocchie.
Molti lo hanno fatto, inventando processi e percorsi, in silenzio, risolvendo problemi, faticando a non cadere nel tranello quotidiano del cosiddetto «riordino della materia», una filiera di leggi, norme amministrative senza mai fine, che hanno solo lo scopo di mantenere nell’opinione pubblica l’impressione di essere in emergenza permanente.
Sono migliaia i progetti di accoglienza e tutela a favore dei migranti. Non nascono da un pensiero critico rispetto alla politica. Almeno non solo. Caritas italiana fin dai tempi della legge Turco-Napolitano, la madre di tutte le norme malfatte sull’immigrazione, diventata poi Bossi-Fini e ora sbandata nella strategia acchiappa consensi dell’ultimo decreto sicurezza, ha sempre denunciato i frutti amari di una politica che alla lunga fonda sull’identità le misure dell’inclusione. E al contempo ha promosso progetti, stimolato famiglie, sensibilizzato frati e suore, lontana dagli slogan, inevitabilmente spazzati via dalla furia dei venti velenosi del consenso, che imbroglia le carte e marchia i buoni come «buonisti».
Ieri mattina Jorge Mario Bergoglio lo ha spiegato parlando della lotta alla fame, che non può essere «uno slogan», altrimenti, come tutti gli slogan, ha solo passato e non presente, né futuro. Sull’immigrazione non ha mai taciuto. Dopotutto l’accoglienza è il cuore del Vangelo.
Ieri pomeriggio ha lanciato un tweet: «Chi ama ha la fantasia per scoprire soluzioni dove altri vedono solo problemi. Chi ama aiuta l’altro secondo le sue necessità e con creatività, non secondo idee prestabilite o luoghi comuni». Cosa c’è di più chiaro di così, rispetto all’immigrazione, alla povertà, alla fame? La Caritas e gli altri che si riuniranno con il Papa oggi a Sacrofano ben sanno che per aver messo in pratica il Vangelo potranno essere accusati di «lesa maestà» o di «sconfinare» o addirittura di non rispettare una legge, che serve a proteggere il territorio dello Stato dall’invasione. Non è una novità che così pensa la maggioranza degli italiani, anche cattolici. Eppure ha deciso di andare, gesto inequivocabile per dire da che parte stare tra chi strepita e insulta con semantiche animose e chi invece vuole costruire comunità ad esclusione zero, libere dalla paura.
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